Nata a Kiev nel 1903 la scrittrice ebrea aveva scelto di vivere in Francia, ma fu arrestata dalla Guardia nazionale e spedita in un lager. Una studiosa ha riportato alla luce la terza e ultima versione del suo capolavoro rimasto incompiuto

Tempesta in giugno, appena pubblicato da Adelphi, ha un titolo che sembra suscitare un effetto di straniamento nel lettore accaldato di questo torrido giugno 2022. Eppure, c’è un anelito simile tra il soffocante bollore di questi giorni e la “tempesta” che Irène Némirovsky sceglie come titolo inequivocabile nell’ultima versione della prima parte di Suite francese, al posto di un “temporale di giugno” forse troppo banale.

La scrittrice ebrea, nata a Kiev nel 1903, che aveva scelto la Francia come patria anzitutto come lingua e come cultura (fu educata in francese da una tata fin dalla primissima età), intuisce infatti che l’immane tragedia della guerra e dell’occupazione tedesca della Francia non solo provocherà morti e esuli, distruzione e sconquassi: la tempesta richiederà la sua vita, e le pagine che sta scrivendo, immaginando una sinfonia in cinque movimenti che si opponga al rumore delle bombe, saranno le ultime. «Niente illusioni: non è per adesso», lascia in un appunto.
La si avverte, leggendo questa versione inedita, l’urgenza della storia. Per i tanti lettori che hanno amato la scrittrice fin dal 2005 – anno di pubblicazione di Suite francese – questa versione è, al contempo, un ritorno e una rivelazione.

Una giovane e appassionata ricercatrice dell’università di Bari, Teresa Lussone, ha il merito di aver riportato alla luce questa seconda (o, per essere più precisi, terza versione) del capolavoro incompiuto di Némirovsky: si tratta di una dattilografia – a opera probabilmente del marito di Irène, Michel Epstein – corretta puntualmente da note a penna della scrittrice, contenente quattro capitoli nuovi e altri profondamente rimaneggiati, scoperta da Lussone negli archivi dell’Institut Mémoires de l’édition contemporaine (Imec), in Normandia. La studiosa, che ha anche integrato la traduzione di Laura Frausin Guarino con le parti mancanti, ha dimostrato con gli strumenti della filologia che questa dattilografia della prima parte di Suite francese è l’ultima rivista da Némirovsky, prima del suo arresto da parte della guardia nazionale francese nel luglio 1942 e del suo trasferimento a Auschwitz. È dunque, in definitiva, una versione che segue quella manoscritta, contenuta nella celebre valigia che le due figlie di Némirovsky si portarono appresso, scappando dai tedeschi.

Si tratta indubbiamente di un testo più maturo dal punto di vista della composizione narrativa e della cifra stilistica: la scrittrice sembra padroneggiare al meglio quell’arte dei “contrasti” che Némirovsky cercava per il suo ultimo capolavoro. Le bassezze e le viltà si stagliano con contorni più nitidi su un racconto che è strutturato su un ritmo più asciutto, più secco. A differenza di Suite francese, i capitoli portano titoli che identificano chiaramente le varie classi sociali che affrontano la fuga da Parigi invasa dai tedeschi. Al contempo, decidendo di limare il più possibile i commenti del narratore omnisciente o di eliminare i dettagli inutili, la prosa di Némirovsky fa emergere con nitore il…

L’articolo prosegue su Left dell’1 luglio 2022 

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