La metropoli lombarda è il simbolo delle diseguaglianze abitative. Da una parte, grandi progetti immobiliari privati e la corsa all’edilizia residenziale e commerciale, dall’altra decine di sfratti ogni giorno e l’impossibilità per i più poveri di ottenere case popolari

Nella città di Milano si fa sempre più veloce e drammatica l’espulsione delle classi popolari, ma anche quella di una parte del ceto medio. Una Milano esclusiva, dove i contrasti tra la città del lusso e delle cosiddette eccellenze da una parte e la città delle periferie dall’altra continuano a inasprirsi. Alcune settimane fa si è chiusa la Design week, la manifestazione, insieme ad Expo, su cui Milano ha modellato la sua identità di città internazionale e attrattiva. Una manifestazione che non ammette critiche, espressione per eccellenza del “modello Milano”: eventi, affari, turisti. Ma anche dj set e aperitivi, che per l’occasione hanno colonizzato l’area dell’ex macello pubblico, zona della città dalla storia emblematica: per anni abbandonata, poi, in parte, rivitalizzata culturalmente da un’occupazione, oggi di nuovo vuota, ma oggetto di un prossimo imponente progetto di rigenerazione urbana.

La simbiosi perfetta tra le due anime più distintive della città e della sua politica, cioè eventi e sviluppi immobiliari, vedi Olimpiadi 2026. In quest’ultimo ambito possiamo individuare due strategie, una già ampiamente battuta e l’altra in via di consolidamento. La prima è costituita dai grandi progetti privati che – approfittando della deregolamentazione in ambito urbanistico, del favorevole regime fiscale e del costante aumento degli indici edificatori – costruiscono edilizia residenziale, commerciale o turistica di lusso in una corsa senza fine al rialzo dei valori immobiliari. La seconda è invece …

L’articolo prosegue su Left del 22-28 luglio 2022 

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