Viaggio virtuale tra le opere, le performance e le installazioni nello spazio pubblico rivisitato che ospita la Biennale europea nomade che è appena arrivata in Kosovo

Con Luz Broto, artista di Barcellona, che ti propone lo scambio delle chiavi che porti con te da casa con quelle degli abitanti della città di Pristina. È il primo scontrino di Manifesta 14 arrivata nel nuovo Kosovo per 100 giorni (dal 22 luglio al 30 ottobre).
Un souvenir radicale da conservare per sempre, fiducia reciproca nel prossimo smantellamento dei confini che ancora isolano, segno di un auspicabile impegno futuro. Fa parte di una delle tante performances disseminate nel luogo e nel tempo di questi giorni destinati all’arte. Simbolica e onirica, semantica e prossemica, come tutto in questo vecchio/nuovo mondo. Vera politica dell’arte. Proviamo a metterci l’uno al posto dell’altro, ad entrare nelle rispettive vite e aprire porte altre. E tu così, visitatore o turista che sei, prenotando il tuo scambio di chiavi anche tramite http://swapkeys.site/ potrai entrare anche idealmente nelle case distrutte e ricostruite, sui vecchi tram Iveco, penetrare persino nel piccolo quartiere finanziario della città con i suoi distonanti palazzi di vetro; perché tutto si svolge nell’arco di poche strade.

Ma loro, i pristinesi non potranno per il momento usare le tue chiavi a loro volta per farti visita. Perché fanno parte di quella gente che sta recuperando il tempo perduto e interrotto da una guerra sanguinaria e fratricida. Aspiranti d’Europa. E lo stanno portando avanti questo discorso in modo generoso e pieno di fiducia, attanti e spettatori al tempo stesso, in parte reinterpretando anche un retaggio del nostro recente passato di oltre un lustro fa; mettendoti a disposizione una città, la loro, a raggiera, come un asincronico gioco dell’oca, tra edifici incerti realizzati senza alcun canone e altri ancora abbandonati, ma anche consapevoli che il tempo moderno non sono più quei filari apparsi di bancarelle da paese, con dolciumi, popcorn e zucchero filato come una visione virata seppia. Popolazione che si tuffa con fiducia dentro un finto consumismo per sfruttare la ventata turistica di questi cento giorni di arte privata, ma in fondo pubblica. Arte che ha invaso la città come un polline di prima estate. Vendono le loro mercanzie di una civiltà azzoppata. E sono generosi e gentili. E nel mentre una folla di gente si riversa nelle strade, in cerca quasi di un nuovo consumo indisciplinato che arriva però come un’onda refrattaria di ritorno. Quel ritorno alle antiche radici ottomane che te lo ricorda ad ogni alba della città il canto del muezzin diffuso a raggiera come suono di campane di paese. Pristina quasi una città del sud Italia di trenta anni fa. Un cinema Paradiso che batte il primo ciak.

Ed è la festa che si tiene, a guisa di cerimonia ufficiale di apertura, presso il Palazzo dello sport e della gioventù, già Boro Ramirez, simbolo di identità e singolare esperimento di edilizia dove incubare talenti, edificato a furore di pubblico referendum in quel 1977, con le sue Red Hall e Atelier Hall e che oggi ospita nel suo plateau eventi moderni musicali e classici.

Come la performance di Astrit Ismaili, artista kosovaro, e quella che si presenta con la maschera di una Jungle by night; sorta di Pristina all stars, regalo della città di Amsterdam dove Manifesta nasce dopotutto nel 1990 con questo spirito di cambiare location ogni due anni in cerca delle vere e nuove pulsazioni, come modernissima manifestazione d’arte, che mira a trasformarsi in uno strumento di impegno civico ed estetico, desiderosa di intercettare i dna cangianti dei territori in nuovi imperativi etici ed estetici e che in questa occasione mira anche a definire il suono della città di Pristina, ricostruendo in poche ore 40 anni ed oltre di canzoni kosovare.

È tutto, dicono, un “being as becoming”, un essere e divenire. Restiamo così avvolti negli alter ego, nelle estensioni corporali e gli strumenti da indossare inventati da Ismaili che creano suoni e cercano nuovi contatti, che si espandono e forse anche eccedono. Le live performances dell’artista detto LYNX che inventa portali di trasformazione e lunghi e nuovi fili che uniscono gli esecutori a sculture di metallo e depositi di suoni: i frammenti di una memoria che sa di arte, cultura popolare, politica. Canzoni o lacerti delle stesse indagano temi di tradizione, ma anche la violenza; come poterne starne alla larga nel ricordo e nel presente della memoria. E così la restrizione, la resistenza, la paura, la tanto abusata resilienza. Gli artisti ed i performer tirano fili con i loro corpi, usano voci. E sanno perfettamente che dopo la performance quegli stessi strumenti e suoni prodotti si trasformeranno in permanente installazione. Resta in bocca quel sapore tipicamente berlinese di un rave asincronico, in un edificio ex brutalista, diroccato, nel bel mezzo di un campo che fu da gioco. Per questo underground eccellente, preciso, puntuale.

E mentre nella notte del Palazzo dello sport si libra sopra le teste il pallone ellissoide fluttuante di diciassette metri di Lee Bull, a ricordarci quello di Hinderburg che nel 1937 prese fuoco sotto la bandiera nazionalsocialista, ma anche a dirci che i sogni sono vulnerabili ed è tutto ancora da vedere quello che potremmo salvare dal passato e portare nel futuro, qualcosa spinge forsennatamente al moto. E non è per forza o a causa di questa grande rilucente installazione in volo se ci troviamo a passare per Korriku Street, dove emerge l’intervento di Carlo Ratti e del suo studio torinese che a Pristina ha lavorato interrogandosi sul senso comune della gente, così come anche riqualificando il Green Corridor, parte di un tracciato ferroviario già di fughe e disperazione nel remoto 1999, in un camminamento verde e di auspicabile piantumazione.

Manifesta 14 ovvero la scalata verso il Grand Hotel Pristhina, con le sue 350 camere distribuite in 13 piani. E tutto trasformato in decine di installazioni d’arte. Dove la fa da padrone l’arte kosovara e dei Balcani che occupa oltre i due terzi dell’intera manifestazione. Nessuna accusa di nazionalismo, ma comprensione piena per l’occasione irripetibile che si stanno giocando. Nel Grand Hotel ogni direzione è buona ed ognuno si gioca la sua partita dei destini incrociati dove puoi ritrovarti nell’intricato interrogatorio sul modernismo di Genti Korini, sul realismo e l’astrazione, sull’uomo nuovo socialista e la borghese controparte. Il labirinto del modernismo di Alfred Uci guida il passo. L’artista ragno, tessitore di illusioni. Ma chi la preda e chi il ragno? Lungo il corso di questa domanda continua il passo e il dubbio non ci molla mai, fino alla fine, mentre, di stanza in stanza, ogni tanto gli occhi si rivolgono alla sommità dell’Hotel Pristina per osservare il contributo di Petrit Halilaj che ha trasformato l’antica insegna gigantesca ed oscurata in un appello poetico alla cittadinanza che suona più o meno “quando il sole va via, dipingiamo il cielo”.

Ed è il vero slogan di questa Manifesta 14 che ambisce a creare una nuova costellazione di stelle proprie. Fatta anche di suoni, come nella singolare installazione di Lawrence Abu Handan, una sorta di orecchio privato che indaga sui modi in cui i suoni si sentono affidati alla memoria e sulle modalità in cui le memorie acustiche vengono strumentalizzate e così politicizzate. Testimonianze acustiche, atti di violenza: manchiamo, vuole dirci l’artista, di un vocabolario adeguato per descrivere i suoni. Oggetti che diventano straordinari surrogati di un linguaggio sonoro che non parliamo ancora. Ogni stanza, ogni installazione è un deposito di storia del Kosovo e dunque un microcosmo della stessa società. Vuole dirci l’artista Majilinda Hoxa in The Suite e con lei anche Emily Jacir, Šejla Kamerić, Argjirë Krasniqi, Luljeta Lleshanaku, Hana Miletić, Natasha Nedelkova, Tuan Andrew Nguyen, Lala Raščić, Abi Shehu, Vangjush Vellahu, Hana Zeqa…

Oltre il Palace colpisce la Brick Factory, ex manifattura di laterizi, il più importante sito post industriale di Pristina. Oggi restituito al pubblico come nuovo spazio per la città. Un eco urban learning center capace di rinvigorire la scena culturale del territorio e dove infatti cucina piselli Giulia Ficcarazzo, studentessa, progettista culturale, facente parte di una summer school e attiva oggi con il collettivo berlinese Room Labor che ci racconta «di una grossa cultura in essere di print making. In molti a Pristina sanno costruire mattoni. Hanno dovuto impararlo per ricostruire. Questo è uno spazio ridato alla municipalità quando fu creata la Repubblica del Kossovo. Noi lavoriamo a stretto contatto con il sindaco della città che è un ex architetto. Veniamo dai Balcani, dal Montenegro, da Milano».
E sono queste solo le prime giornate di un viaggio sulla carta lungo 100 giorni. Un viaggio nel quale l’arte sembra essere come salita al potere, per governargli accanto. Se possiamo davvero credere alle parole inaugurali rubate al discorso del primo Ministro Albim Kurti e della presidente Vjosa Osmani.

(un vivo ringraziamento per il supporto va ad Alessandro Fusco)

Foto di apertura: Objectification of senses, 2022, © Ilir Dalipi and Radio International, 2022, Susan Philipsz with Radio International Collective Photo at Zahir Pajaziti Square Photo © Manifesta 14 Prishtina, Majlinda Hoxha.JPG

Foto nel testo, dall’alto: performance di Astrit Ismaili; When the sun goes away we paint the sky, 2022, © Petrit Halilaj. Photo © Arton Krasniqi.png; Tell me your Story, 2022 , © Chiharu Shiota. Photo © Manifesta 14 Prishtina, Majlinda Hoxha.JPG