Quando intorno all’odio (e alla sua violenza) galleggia l’indifferenza significa che molti lo considerano fisiologico. Così tutto è spiegato come semplice “esasperazione”. E invece c’è un criminale e una vittima. E ci sono dei mandanti morali

Il 13 marzo del 1964 a New York, nel quartiere New Gardens, Kitty Genovese rientrava a casa. Era tardi, le tre e un quarto di notte, e venne accoltellata Winston Moseley, che le corse dietro e la raggiunse in breve tempo, accoltellandola alla schiena per due volte. L’articolo del New York Times che raccontava quell’omicidio uscì parecchi giorni dopo (era il 27 marzo) e iniziava con la frase «Per più di mezz’ora trentotto rispettabili cittadini, rispettosi della legge, hanno osservato un killer inseguire e accoltellare una donna in tre assalti separati a Kew Gardens.» Successivamente le indagini che una dozzina di vicini (quasi certamente non i 38 citati dall’articolo del New York Times) avevano avuto modo di udire o osservare parti dell’attacco senza intervenire.

Gli psicologi sociali Bibb Latané e John Darley iniziarono una serie di ricerche sui motivi per cui non sempre le persone intervengono di fronte alle emergenze. Si chiama “effetto spettatore” e, come spiega bene Wikipedia, «è un fenomeno della psicologia sociale che si riferisce ai casi in cui gli individui non offrono alcun aiuto a una persona in difficoltà, in una situazione d’emergenza, quando sono presenti anche altre persone. La probabilità d’intervento è inversamente correlata al numero degli spettatori. In altre parole, maggiore è il numero degli astanti, minore è la probabilità che qualcuno di loro presterà aiuto. Numerose variabili intervengono nel determinare l’effetto spettatore. Esse comprendono l’ambiguità, la coesione sociale e la diffusione della responsabilità».

Le scoperte successive di Mark Levine e Simon Crowther (nel 2008) illustrarono che la dimensione crescente del gruppo inibiva l’intervento in uno scenario di violenza stradale quando gli spettatori erano estranei, ma incoraggiava l’intervento quando gli spettatori erano amici. Essi trovarono anche che quando l’identità di genere era rilevante la dimensione del gruppo incoraggiava l’intervento quando gli spettatori e la vittima condividevano l’appartenenza alla categoria sociale.

Alika Ogochukwu è stato ucciso a mani nude da Filippo Ferlazzo. Ha suscitato molta indignazione il fatto che Alika morisse mentre alcuni riprendevano con il proprio cellulare la scena e nessuno interveniva. Chi ha reso i neri “estranei” agli altri? Chi addirittura ha soffiato sulla guerra tra “noi” e “loro”? L’odio non nasce per caso. Quando poi intorno all’odio (e alla sua violenza) galleggia l’indifferenza significa che molti lo considerano fisiologico, nemmeno più una patologia. Così tutto è spiegato come semplice “esasperazione”. E invece c’è un criminale e una vittima. E ci sono dei mandanti morali.

Buon lunedì.

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.