«La scelta prioritaria non è quella, pur importante, dei rigassificatori - dice il parlamentare dem - ma impedire che la Costituzione venga stravolta dalle destre». Per questo motivo il Pd non pone veti a nessuno

Emanuele Fiano lei è stato esponente del Pds e poi parlamentare del Pd nelle ultime tre legislature. La prima domanda che le pongo è che c’è un popolo di elettori che in questo momento sta a guardare quello che sta succedendo nel Pd alle prese con le alleanze. Con moltissime critiche rivolte all’accordo Letta-Calenda, per essere quest’ultimo troppo spostato su posizioni liberiste. Che cosa ci può dire?
La mia posizione è molto semplice, e gliela spiego. Noi siamo dentro un sistema sostanzialmente maggioritario, anche se è per due terzi proporzionale. Dove vigono sistemi maggioritari, come negli Stati Uniti, nel partito democratico convivono personalità come Sanders e un’altra come il presidente Biden che hanno visioni economiche e sociali e di politica estera molto diverse. Sanders in Italia sarebbe uno della sinistra, un socialista, uno che ha parlato di nazionalizzazioni nell’economia americana, mentre Biden è un uomo della sinistra liberal democratica. Un altro esempio, nei laburisti inglesi convivono i trotzkisti e i lib-lab. Sto parlando di sistemi maggioritari dove si vota nei collegi più o meno esattamente come si sta per votare noi nei collegi uninominali della Camera e del Senato. Anche nei sistemi storicamente proporzionali, anche se corretti, come quello tedesco o spagnolo, alla fine si creano coalizioni multicolori: in Germania per 15 anni i socialdemocratici sono stati alleati della Merkel e adesso comunque Scholz ha un governo multicolore; in Spagna il socialista Sanchez è alleato con Podemos che è nato come un movimento antisistema che è stato avvicinato in parte, con tutte le dovute differenze, addirittura al M5s. E anche in Francia, vediamo che Macron è costretto a mettere insieme forze eterogenee.

Quello che non va giù sono le visioni contrapposte all’interno della stessa coalizione. E poi il partito democratico americano ha una lunga tradizione storica.
Ma anche il Pd quando è stato fondato tra il 2007 e il 2008 con la spinta di Veltroni e ciò che abbiamo scritto nello statuto, è stato pensato come un contenitore di idee diverse. Oggi, certo, uno ha il dirittissimo di dire “Il Pd sbaglia ad allearsi con Carlo Calenda” perché quella non è esattamente la sua agenda, oppure invece c’è un altro che dice “A me va bene Calenda, ma non mi va bene Fratoianni”… E poi c’è Calenda a cui non piace l’agenda di Fratoianni, e viceversa. Però dobbiamo essere in grado di mettere in fila le nostre priorità.

Qual è la sua priorità?
Io temo che la destra guidata da Giorgia Meloni abbia una visione della nostra Costituzione, delle riforme costituzionali, del nostro ruolo e posto in Europa e nel mondo che io definisco preoccupante. La destra di Meloni per cinque volte si è astenuta sul Pnrr, quindi tradotto in maniera semplice, significa che non avremmo avuto il Pnrr, se avesse governato lei in quegli anni. Il sistema presidenzialistico che vogliono proporre a me non va bene. Quindi noi abbiamo delle scelte prioritarie, non che siano meno importanti le scelte sui rigassificatori ai quali io sono favorevole o le scelte sul nucleare, che è una cosa ancora più complessa. Ripeto, non che quelle siano poco importanti ma l’idea che possano governare persone che vogliono cambiare radicalmente il sistema, che si sentono più vicini all’Ungheria di Orban e alla Polonia che lotta contro i diritti civili, che a un’idea di Europa che abbiamo sviluppato negli ultimi 36 mesi, a me fa paura. Per giungere all’obiettivo di allontanare questo possibile risultato, io sono disponibile a fare dei compromessi.

Lei parla di compromessi, ma le chiedo: una volta andati al governo come farete a governare? Sto pensando alla presenza di Gelmini che ha contribuito alla deriva della scuola o anche all’autonomia differenziata, visto che proprio lei come ministro del governo Draghi la stava portando avanti.
Intanto Gelmini e Carfagna, che hanno aderito al partito di Calenda, e che sono anche una novità degli ultimi cinque minuti, sono comunque due persone. La cosa che le unisce a Calenda e quindi anche a noi, se rimarrà questo patto, è il fatto che volevano mandare avanti il governo Draghi come noi, perché sapevamo, come ha confermato anche lo stesso presidente del Consiglio ieri sera nella conferenza stampa che ci aspettano nubi preoccupanti in autunno, sappiamo che sarà un autunno difficile per la povera gente, con oltre 5 milioni di italiani che sono o già in povertà o oltre la soglia di povertà, quelli che in questi anni hanno perso il 40 per cento del potere d’acquisto dei salari. Quindi per tutte queste persone, ancora prima di parlare delle sigle dei partiti o delle agende, era fondamentale mandare avanti il governo Draghi. Due sindacati hanno protestato, secondo me giustamente, perché nei provvedimenti del Decreto aiuti il taglio del cuneo fiscale che si riversa sui lavoratori alla fine porta un risultato modestissimo in termini di euro. Ma c’è da dire che il governo Draghi ieri ha fatto manovre senza extra debito perché si sta occupando degli affari correnti. Un governo politicamente in carica e sorretto da una maggioranza parlamentare avrebbe potuto o dovuto chiedere – o le forze politiche avrebbero potuto votare una mozione in Parlamento – una manovra extra debito straordinario. Per cui ciò che ci unisce a Gelmini e Carfagna non è la loro ideologia, ma questi ultimi cinque minuti del loro percorso. Dopodiché sono due persone, rispetto a un numero, speriamo grande, di rappresentanti eletti del centrosinistra.

Ma tornando alla questione del programma non ci sono contraddizioni in seno all’alleanza elettorale?
Certo, ci sono. Ma le voglio fare un esempio. Prendiamo l’Emilia Romagna, che è la regione dove si stanno predisponendo dei rigassificatori ma dove contemporaneamente una giunta di centrosinistra, che va da Renzi a tutta la sinistra con Elly Schlein che è vicepresidente, ha promosso ed iniziato un super piano per le energie rinnovabili. Questo significa governare insieme tra forze anche eterogenee ma all’interno di un’idea progressista che ha accenti diversi, è vero. Ma sul piatto della bilancia c’è un pericolo più grande e che viene prima della questione dei rigassificatori, e cioè il cambiamento della Costituzione senza nemmeno il referendum, nel caso il centrodestra raggiunga i due terzi. Insomma, io direi a Calenda o a Fratoianni: se stiamo insieme si può trovare una formula che accontenti abbastanza entrambi, ma se non stiamo insieme il rischio è che non si faccia assolutamente nulla perché governerebbe gente che ha idee completamente diverse.

A proposito di governo, ipotizziamo che nel caso di una vostra vittoria tuttavia dobbiate avere bisogno di alleati. Ho appena letto che Calenda esclude qualsiasi coinvolgimento del M5s con cui voi però avete già governato in passato. Come la mettiamo?
Guardi, la battuta migliore di questi momenti è un tweet di Matteo Orfini che dice più o meno così: “Non abbiamo un hacker per sospendere twitter per tutti per tre giorni, così riusciamo a fare tutte le coalizioni che vogliamo?”. Noi non dobbiamo prendere i tweet come parola finale, basta vedere cosa hanno detto in passato M5s e Lega a proposito di alleanze reciproche e poi sono andati insieme… potrei dirle anche di Calenda cosa ha detto in passato… Ognuno di noi ha dei limiti che s’impone in quel momento, poi bisogna anche vedere qual è il momento del Paese. Quando siamo di fronte, prima alla tragedia del Covid e poi a quella della guerra, siamo di fronte a problemi che richiedono scelte eccezionali. Enrico Letta l’ha sempre detto che il governo Draghi era eccezionale e irripetibile.

E sulla questione di future alleanze di governo con i Cinque stelle?
Io oggi non so risponderle. So che non abbiamo condiviso per niente la loro scelta rispetto al governo Draghi.

In Sicilia il campo progressista, M5s, Pd e sinistra è visto come l’unico modo per battere il centrodestra alle elezioni anticipate del 25 settembre. Perché in Sicilia sì e nel resto del Paese no?
Sulla Sicilia non so risponderle. Comunque dalla prima Repubblica in poi le questioni locali non sono state uguali a quelle nazionali, in Emilia Romagna come le dicevo Bonaccini governa con i renziani…

Renzi viene dal Pd, non è un corpo estraneo al partito…
Sì, ma alle elezioni in Emilia Romagna si è presentato come Italia viva.

Ha citato Renzi, lei sarebbe disposto ad una alleanza con Italia viva?
Rispondo con quanto ha risposto sempre il mio segretario: noi non poniamo veti. Ovviamente poi ci vuole chiarezza degli intenti ma non abbiamo posto veti perché altrimenti non varrebbe il discorso che ho fatto all’inizio. Se la posta in gioco è così in alto, molta alta deve essere la capacità di non porre veti. Quanto a Renzi penso che la sua posizione risenta molto delle posizioni e delle scelte che fa Calenda per rispecchiamento. Noi abbiamo un’unica posizione: non poniamo veti, a parte a quelli che in questo frangente hanno detto di no a Draghi. Non c’è nessuno fuori della porta, poi certo, una volta che ha bussato, bisognerà parlarci.

Lei nel 2017 ha presentato una proposta di legge contro la propaganda del fascismo. C’è qualcosa che la preoccupa in questo momento storico?
La mia più grande paura è la banalizzazione della storia, cioè che nelle prossime generazioni se ci saranno – e ci sono – esponenti politici che trasmetteranno un senso comune per cui gli italiani non avevano colpe, che le leggi razziali non erano così gravi ecc. non assumeremo la lezione della storia per la quale mi sono impegnato tutta la vita. E cioè il comprendere come e perché nascono le dittature. E tra l’altro è proprio nei frangenti di disagio sociale che si offre il terreno di coltura migliore a chi propone – per fortuna una minoranza – il revanscismo neofascista, la riedizione di simboli, di miti, sui quali Giorgia Meloni sta molto attenta a cadere, e che bisogna in tutti i modi combattere. Ma al di là di questo, è ancora peggio ciò che sta accadendo i questi ultimi dieci anni in cui alcuni leader mondiali come Putin o europei come Orban o partiti come AFd in Germania o quello di Marine Le Pen in Francia ci hanno proposto che sia venuto il tempo delle democrazie illiberali. La stessa cosa che è successa in Europa tra gli anni Venti e Quaranta del secolo scorso. Di fronte alla complessità di problemi come la pandemia e di fronte alla crisi economica e sociale dovuta alla guerra che ricade direttamente sulle tasche dei lavoratori, ecco, quando il tessuto sociale si deteriora, quando vengono meno le condizioni materiali di vita e di conseguenza anche i diritti, quando aumenta la diseguaglianza, è sempre possibile che grandi masse di popolazione vengano irretite da quei leader, da quelle guide che propongono soluzioni semplificate e che dicono sostanzialmente che la democrazia liberale come l’abbiamo sempre conosciuta è troppo lenta, troppo farraginosa, non decide, non risolve i problemi.

Se ci sono masse che vengono irretite, però significa che c’è stato un vuoto culturale della sinistra. Pensiamo solo alla scuola, alle scelte del Pd in tema di politiche scolastiche, con la Buona scuola renziana che è stata il colpo di coda della riforma Gelmini, oppure adesso il provvedimento che stabilisce che a 8mila professori esperti andranno 5mila euro in più, rispetto agli altri, insomma questi sono schiaffi al sistema della formazione.
Quello dei professori esperti dipende dal governo Draghi… Sul fatto che la scuola sia fondamentale per impedire che le masse vengano irretite, sono d’accordo. Una volta in un evento pubblico denunciai proprio la riduzione delle ore di storia nelle scuole superiori e il fatto che nonostante l’impegno di migliaia di professori, tanti giovani non hanno assimilato il perché sono nati il fascismo e il nazismo. Baumann diceva che quando si sta male nell’oggi e si perde la speranza del domani, che è l’utopia che ha sempre mosso la nostra ideologia di liberazione – comunismo, socialismo, cattolicesimo sociale -, il rischio, già successo nella storia, è quello che lui chiama la retrotopia.

E quindi?
Ritornano alla prima domanda, la mia paura è che legittimissime differenze e discussioni tra diversità di vedute e di storie – come quelle di Fratoianni e Calenda – mettano a rischio il risultato principale, cioè battere il centrodestra.

Ultimissima domanda, torno sul M5s. Vi potreste alleare una volta al governo?
Intanto dobbiamo vedere quale sarà il nuovo Movimento Cinque stelle. In parte è cambiato: Conte non è Grillo né Casaleggio e ha avuto anche poco tempo per fare il leader del partito. Non so rispondere adesso, ripeto, se non che di fronte a problemi grandi per il bene dell’Italia chi può dire cosa succede… Ci sono preclusioni per me: non andrei mai al governo con la destra destra di questo Paese. Con Fratelli d’Italia avrei dei problemi irrisolvibili.

Una laurea in Filosofia (indirizzo psico-pedagogico) a Siena e tanta gavetta nei quotidiani locali tra Toscana ed Emilia Romagna. A Rimini nel 1994 ho fondato insieme ad altri giovani colleghi un quotidiano in coooperativa, il Corriere Romagna che esiste ancora. E poi anni di corsi di scrittura giornalistica nelle scuole per la Provincia di Firenze (fino all'arrivo di Renzi…). A Left, che ho amato fin dall'inizio, ci sono dal 2009. Mi occupo di: scuola, welfare, diritti, ma anche di cultura.