Il conto alla rovescia è alle battute finali: il 24 agosto l’Angola torna al voto. In un contesto di arresti e mentre pesano siccità e fame (come scrive Riccardo Noury di Amnesty ndr) più di 14 milioni di angolani sono chiamati a eleggere il presidente della Repubblica e i deputati dell’Assemblea nazionale. Saranno le quarte elezioni generali dopo la fine della guerra e le quinte dopo le storiche elezioni del 1992, le prime elezioni libere dell’Angola ma che segnarono il tragico ritorno alla guerra civile terminata solo nel 2002 con la morte dell’allora leader dell’Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola (Unita) Jonas Savimbi.
In un clima politico e sociale molto difficile sono otto i partiti politici che quest’anno concorrono alle elezioni ma solo due sono in grado realmente di gareggiare per la conquista del potere: il Movimento popolare di liberazione dell’Angola (Mpla) guidato dall’attuale presidente della Repubblica João Lourenço e l’Unita guidato da Adalberto Costa Junior. Le ultime elezioni del 2017 sono state vinte con una larga percentuale (oltre il 60%) dall’attuale presidente della Repubblica João Lorenço e dall’Mpla,partito politico al potere da più di 40 anni, dal giorno in cui l’Angola ha dichiarato l’indipendenza dal Portogallo.
Il nuovo presidente almeno all’inizio ha dato grande speranza di cambiamento alla maggior parte della popolazione ed effettivamente ha dato prova di grande discontinuità rispetto all’operato dell’antico presidente José Eduardo dos Santos, rimasto al potere per 38 anni di fila e recentemente scomparso. Negli ultimi cinque anni di mandato João Lourenço, ha dimostrato di poter affrontare i gruppi di potere che si sono creati in anni di mal gestione e di un sistema che ha garantito la pace ma basato su una diffusa corruzione a tutti livelli istituzionali, dove tutti sembravano guadagnarci tranne ovviamente le fasce più povere e deboli della società.
La lotta alla corruzione e alla dilapidazione delle risorse pubbliche, i cambiamenti nel sistema giudiziario hanno sortito i loro effetti e diversi esponenti pubblici e politici hanno perso i loro ruoli e molti sono stati investigati e arrestati. Il processo più eloquente è stato quello a José Filomeno dos Santos presidente del Fondo sovrano angolano e figlio dell’ex presidente della repubblica che insieme al ex governatore del Banco nazionale angolano Valter Filipe e all’ex vice governatore sono stati condannati per una trasferimento illecito di 500 milioni di dollari verso un conto bancario privato di una impresa con sede a Londra. In seguito all’arresto del figlio del ex presidente della Repubblica e di altri personaggi pubblici, una parte della famiglia dos Santos è fuggita all’estero. Tchizé dos Santos e Coreon Du, figli dell’ex presidente che gestivano i maggiori organi d’informazioni pubblici e privati in Angola hanno perso i loro contratti milionari con lo Stato, e sono scappati all’estero. Isabel dos Santos, altra figlia del ex presidente José Eduardo dos Santos, e donna più ricca di Africa (ha spolpato l’Angola, secondo il Corriere della Sera), è fuggita anch’essa a Dubai. Nel frattempo lo Stato ha requisito le sue imprese in Angola, ed è tutt’ora investigata dalla giustizia angolana per peculato. Visto il suo grande potere economico, per gli interessi internazionali in campo e per il fatto di essere anche cittadina russa, non sarà facile per la giustizia angolana recuperarne i soldi sottratti e trasferiti all’estero né tanto meno sarà facile processarla qui in Angola.
Non solo la famiglia dos Santos ma anche i militari sono stati travolti dall’azione di governo e sono stati costretti a dare allo Stato le loro fortune, in particolare il capo dello Stato maggiore Kopelipa e il generale Dino che hanno restituito alla Stato le loro aziende per un valore di più di mille milioni di dollari.
La legge per il rientro dei capitali e tutte queste azioni legali non sono bastate alla popolazione, per la maggior parte povera e che vive in situazioni materiali molto difficili, e l’insofferenza è cresciuta e la speranza iniziale per molti si è trasformata in rabbia specialmente durante la pandemia di Covid-19 dove la caduta del prezzo del petrolio ha creato i presupposti per la svalutazione drammatica della moneta e la successiva impennata dei prezzi che è stata troppo forte e repentina per essere compensata da qualsiasi misura. Le restrizioni sociali e i lockdown per limitare la diffusione del virus hanno, inevitabilmente, dato il colpo di grazia a una economia fragile e poco diversificata. In quel periodo moltissime persone hanno perso il lavoro e quelle che hanno continuato a lavorare hanno avuto pesanti difficoltà a mettere insieme un salario in grado di assicurare anche l’alimentazione basilare per la propria famiglia. Come se non bastasse le regioni del sud dell’Angola sono state colpite da una spaventosa siccità che ha fatto sì che migliaia di persone fuggissero nella vicina Namibia per l’avanzare della desertificazione e per la mancanza di acqua e di cibo. Negli ultimi mesi, l’uscita della pandemia, la ripresa dell’economia mondiale, l’aumento del prezzo del petrolio e l’eliminazione delle restrizioni hanno notevolmente migliorato la situazione economica ma la condizione di vita di milioni di angolani rimane comunque difficile. (E intanto, denuncia Amnesty, infuria la repressione ndr).
È in questo clima che si sta svolgendo la campagna elettorale, da una parte il presidente João Lourenço che rivendica il lavoro fatto negli ultimi cinque anni, dall’altra il candidato presidente Adalberto Costa Junior leader dell’Unita e maggior esponente dei partiti di opposizione che chiede con forza la democratizzazione delle istituzioni e che si è fatto portavoce del malcontento delle fasce più povere della popolazione e dei più giovani in particolare di quelli che vivono nei musseques di Luanda (Favelas).
Il maggior partito di opposizione è più forte rispetto alle precedenti elezioni, l’Unita infatti ha trovato in Adalberto Costa Junior un leader che ha saputo rivitalizzare e dare speranza di cambiamento a molti, che a gran voce chiedono alternanza politica e democratizzazione delle istituzioni. Adalberto Costa Jr non ha intercettato solo il sentimento di rivalsa e la rabbia di molti angolani ma è riuscito a calamitare su di se l’interesse anche di quelli che per lunghissimo tempo hanno approfittato di quel sistema basato sulla corruzione creato dall’Mpla e dall’antico presidente della Repubblica e che adesso si sentono tagliati fuori e non stanno più beneficiando di quei vantaggi che ricevevano in passato. Una parte cospicua della popolazione che lavora nelle istituzioni pubbliche, nei ministeri, negli ospedali, nella polizia e tutti quei facilitatori che per sbloccare la pesante e macchinosa burocrazia angolana in cambio di denaro fanno girare gli ingranaggi di una macchina malata. C’è infatti in una parte cospicua della società la convinzione che in passato si stesse meglio soprattutto per chi aveva imparato a convivere e a vivere in quel sistema.
Adalberto Costa Junior mescola istanze di rinnovamento e cedimenti che lo hanno portato a essere molto accondiscendente verso quei gruppi di potere che, allontanati da João Lourenço, vedono nel leader Unita la possibilità di tornare a esercitare il proprio potere. Infatti dall’estero ha incassato l’endorsement, ma c’è chi sospetta anche soldi per finanziare la campagna elettorale, di Isabel e Tchizé dos Santos promettendo in cambio una legge di amnistia per il rientro di capitali molto più blanda di quella fatta dall’attuale governo e la restituzione di parte delle imprese che gli sono state requisite.
La voglia di alternanza che soprattutto la fascia di popolazione più giovane sente non registra il cambiamento di passo che in parte c’è stato negli ultimi anni e ripone una grande fiducia nel leader dell’Unita che purtroppo non sembra avere una visione, e un programma concreto per lo sviluppo del Paese dei prossimi anni ma pare più attento al funzionamento delle istituzioni e al miglioramento del processo democratico che seppur importanti non esauriscono il campo di azione di governo in un Paese in via di sviluppo dove l’obiettivo principale dovrebbe essere la lotta alla povertà e la creazione delle condizioni materiali minime per garantire la realizzazione della piena dignità umana della maggior parte della popolazione.
D’altro canto il presidente João Lourenço, che ha cercato di articolare e attuare una visione per un Paese così complesso, realizzando ospedali pubblici, infrastrutture e anche progetti come la Raffineria di Luanda (in collaborazione con Eni) nel tentativo di attrarre investimenti stranieri, non può sottrarsi alle critiche di essere a capo di un sistema che gli garantisce poteri e risorse quasi dittatoriali, che non permette il rispetto totale dei diritti umani e che non riesce a garantire la trasparenza dello svolgimento democratico delle elezioni. Infatti lo spettro dei brogli elettorali denunciato a gran voce dall’opposizione lascia immaginare contestazioni e disordini violenti che in fondo nessuno vuole perché l’eco della terribile guerra civile ancora si fa sentire come un tamburo in sottofondo che speriamo invece, questa volta si trasformi in un ritmo di gioia, di speranza e di rinnovamento per tutti gli angolani e le angolane.