L’Italia ha la grande necessità di ridurre le disuguaglianze, disuguaglianze che sono venute crescendo nella società e sul territorio, spinte dalle leggi non regolate del mercato e dal succedersi delle cosiddette “emergenze”, dalla pandemia alla guerra. Non si tratta più soltanto di differenze riconducibili alla storica questione meridionale, che mantiene tutto il suo peso, ma di disparità sociali e territoriali che attraversano l’intero Paese: tra ricchi e poveri, tra città e campagna, tra costa e entroterra, tra montagna e pianura. Il risultato è che ci sono strati sociali e ambiti territoriali nei quali è minore l’accesso ai diritti e alle opportunità.
Così oggi per tante persone è più difficile frequentare una scuola o un asilo, utilizzare mezzi di trasporto, fruire dei servizi sanitari, trovare un’occupazione, esercitare un mestiere o una professione, fare sport o andare all’università. Tutto ciò contrasta con la nostra Costituzione che afferma l’uguaglianza dei cittadini e stabilisce che la Repubblica è tenuta a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3). La politica ufficiale, sostanzialmente piegata all’economia e ai poteri forti, ha fallito su questo, facendo aumentare tali ostacoli anziché rimuoverli. Quindi occorre cambiare rotta.
Ne sa qualcosa il Molise, un territorio piccolo e bello che è l’emblema delle aree interne italiane, vittime sacrificali di politiche che sul lungo periodo hanno privilegiato i poli urbani, industriali e commerciali, trascurando la maggior parte del territorio italiano: campagne e paesi spopolati e marginalizzati, feriti e qualche volta perfino derisi. Non si tratta affatto di disuguaglianze ineluttabili, ma frutto di scelte compiute, di una incapacità del sistema politico di restare dalla parte delle persone, delle comunità locali, dei territori, che infatti hanno reagito con un sentimento sempre più diffuso di sfiducia verso la politica e di allontanamento dalle istituzioni. Ora che ci troviamo di fronte all’ennesimo teatrino dei partiti in vista delle imminenti elezioni politiche, i nodi ritornano al pettine.
Il 25 settembre ci saranno tante liste, quasi tutte orientate al draghismo, al neoliberismo, alle logiche della guerra, del privato e del mercato, responsabili di una società disgregata e disuguale e di un territorio sempre più insidiato e abbandonato. Ecco perché lo scopo primario di chi si impegna nella cultura come nella politica deve essere quello di ridare voce a chi l’ha perduta, riportare al centro chi è finito ai margini non per colpa del destino, ma di chi ha governato fin qui lo Stato e le Regioni: centrodestra o centrosinistra non sono stati in grado di arrestare il processo di declino, tanto meno di invertirlo; incapaci entrambi di lanciare l’idea di un modello alternativo, di giocare un’altra partita: quella della solidarietà al posto della competizione, della giustizia sociale e ambientale al posto degli interessi economici.
Le cosiddette aree interne – campagne e paesi, territori fragili e lontani – possono essere un ambito privilegiato per la sperimentazione di una nuova idea di politica: aree come il Molise dove è più impellente bisogno di rinascita, ricche di una umanità profonda ma stanca, un patrimonio territoriale diffuso ma dimenticato. Territori dove non è difficile incrociare lo sguardo dei giovani in cerca di futuro e quello dei paesi bisognosi di cure. Altro che autonomia differenziata, altro che business dell’energia, altro che presidenzialismo, altro che armi per restare in guerra…
Occorre un reale impegno di pace, una effettiva solidarietà tra regioni, una cura del territorio e un uso sostenibile delle risorse, una vera conversione ecologica dell’economia, uscendo dal fossile e dalla guerra; un rilancio della democrazia e della partecipazione. Un impegno che può essere assicurato con coerenza e credibilità solo da quei soggetti politici che mettono il dito nelle contraddizioni del sistema, cercando di scardinarlo e di sperimentare forme nuove di assistenza, di economia, di cultura, di mobilità, che propongano agli elettori un’alternativa vera, per la pace, l’uguaglianza, i beni comuni.
Su questo terreno regioni come il Molise possono giocare da protagoniste la loro partita, rifiutandosi finalmente di assecondare lo stesso modello, gli stessi partiti e le stesse persone che sono responsabili della loro marginalizzazione. Vediamo se gli elettori sapranno andare oltre il pernicioso schematismo centrodestra-centrosinistra, che spesso ha visto gli stessi politici spostarsi di poco per passare di qua o di là pur di stare al potere e di mantenere status e privilegi. Le stesse definizioni di centrodestra e centrosinistra (con o senza improvvisati terzi poli) sembrano essere funzionali a una partita da giocare tutta al centro, sulla linea di un patologico trasformismo, in difesa di un sistema da non mettere mai in discussione alla radice. Ecco perché è necessario giocare un’altra partita, di scelte radicali (nel senso di andare alla radice, appunto) per aprire una stagione nuova, fatta di proposte alternative e di persone credibili. Sarebbe un bene per l’Italia, per tutti coloro che ormai percepiscono la politica e lo Stato come lontano dai bisogni e dai desideri dei cittadini e dei territori.
* L’autore: Rossano Pazzagli è professore all’Università del Molise, dove insegna Storia moderna e Storia del territorio e dell’ambiente. Direttore della Scuola di Paesaggio “Emilio Sereni presso l’Istituto Cervi, fa parte della Società dei Territorialisti e dell’Officina dei Saperi. È candidato al Senato in Molise per Unione popolare con De Magistris.