Immagini potenti che rimangono impresse nella memoria. In scena al Globe Theatre di Roma una lettura profonda e moderna (politica e psicologica) del testo di Shakespeare, grazie alla regia di Daniele Salvo

Quando calano le luci ed entrano in scena gli attori, affannati, stravolti e sporchi di sangue, si parte. Istantaneamente Roma diventa un ricordo lontano. Daniele Salvo con il suo Macbeth, di cui ha curato regia, traduzione e adattamento, ci porta in Scozia, più che un passato distopico, in quella che lui stesso definisce un’archeologia del futuro; perché le vicende narrate nel Macbeth hanno un indiscutibile valore universale.

L’opera riflette sulla pericolosità della cieca ambizione, su come un uomo possa esserne trasformato al punto da perdere la morale, il senso comune. Daniele Salvo, nella sua magnifica interpretazione, ci restituisce la complessità dell’opera shakespeariana nella sua integrità, amplificata dal sinistro valore ermeneutico che oggi quest’attenta analisi della psicosi del potere assume. Macbeth è un dramma articolato che presenta almeno un duplice livello di lettura: politico e psicologico.

Politico perché affronta le dinamiche distruttive che nascono dalla brama di potere e trasformano gli uomini in esseri meschini, pavidi e vili. Racconta lotte intestine, fratricide, tradimenti. Psicologico nella misura in cui affronta i processi psicologi che portano i protagonisti alle loro agghiaccianti azioni. In altre parole, l’autore approfondisce il processo attraverso cui la malattia riesce a farsi strada in una mente umana fragile, inquinata dalla vacuità.

Shakespeare è talmente intelligente da capire, molto prima del tempo, che la manifestazione della pazzia più grave non sta nei raptus, nelle passioni, ma nell’assenza delle stesse, nell’anaffettività più totale che conduce alla completa perdita del rapporto con la realtà. Infatti, nei due protagonisti, la psicosi si manifesta sotto forma di freddissima lucidità calcolatrice. Macbeth, non compie il delitto preso da un furore omicida, da una hybris violenta, ma in modo freddo e chirurgico, quasi senza rendersene conto. Uccidendo, con il Re Duncan, anche l’ultimo barlume della propria umanità. Non a caso, per descrivere l’azione Macbeth afferma: «Ho ucciso il sonno». Frase con cui, a mio parere, Shakespeare allude all’annullamento della realtà inconscia, ovvero della propria immagine interna. In altre parole, Macbeth è una profondissima analisi psicologica di una coscienza malata, che dimostra come l’ambizione fredda e disumanizzata «divora tutto, rende sterili, annienta il nostro essere più umani, toglie agli uomini e alle donne il senso del Tutto», per usare le parole del regista.

L’opera al Globe Theatre ha le «caratteristiche dell’allucinazione, dell’incubo, della fiaba marcita», rispecchiando la volontà di Daniele Salvo che intendeva creare un’atmosfera surreale, sospesa. Anche se, più che di dimensione onirica, parlerei di dimensione delirante, in cui il sogno lascia spazio ad una notte buia, senza speranza e umanità.
La formidabile recitazione degli attori amplifica e rafforza le intenzioni del regista. Tutti sono bravissimi a cominciare dai protagonisti. Graziano Piazza, interpreta magistralmente il ruolo di Macbeth, succube della sfrenata libidine e ingordigia della moglie, disposta a tutto pur di emergere. Melania Giglio, ovvero Lady Macbeth è prodigiosa. Incarna pienamente il ruolo di regina delle tenebre e della donna senza scrupoli. Ogni particolare in lei è calibrato e studiato al minimo dettaglio. Il cadenzato tono di voce ne sottolinea la dissolutezza, le movenze sensuali, da gatta maledetta o mantide religiosa, ne rappresentano l’insaziabile voracità. La sua sensualità, attraverso cui soggioga emotivamente il marito, ha un carattere demoniaco e, proprio tramite un metaforico amplesso, stringe un patto con il male, rappresentato dalle tre “strane sorelle”. Lady Macbeth offre se stessa all’altare della cupidigia e, rinnegando la sua umanità, inizia un percorso verso la perdizione, che la porterà al delirio allucinato e, da lì, alla morte.

Il Macbeth di Daniele Salvo è provocatorio, denso di simbologia, allusioni religiose e artistiche. Emblematica la scena dell’ultima cena di Re Duncan – Carlo Valli – in cui gli attori riprendono meticolosamente l’Ultima cena di Leonardo da Vinci, rimanendo esattamente immobili, nelle stesse identiche posizioni dei personaggi ritratti nel quadro, per tutta la durata del monologo di Macbeth e del successivo dialogo tra i due protagonisti. Ancora fortissime sono le allusioni all’eucarestia, come ad indicare il fatto, a mio parere, che la redenzione non va cercata nella vita ultraterrena ma nel presente, nel qui ed ora. E, se il personaggio positivo di Banquo, interpretato da Alessandro Marmorini, viene brutalmente ucciso, la sua nobiltà d’animo viene riscattata da altri personaggi, come Macduff, Alessandro Albertin, e Malcom, erede di Duncan, Alberto Mariotti.

L’elemento esoterico e quello religioso si mischiano e si compenetrano, senza giudizio, come a voler innescare – nella mia visione – una riflessione più alta sui concetti di “bene” e “male”. Concetti astratti, estranei all’essere umano. In relazione al quale, come sosteneva il grande psichiatra Massimo Fagioli, sarebbe più corretto parlare di sanità, incarnata nei personaggi positivi di Banquo, Macduff e Malcom e malattia, in Macbeth e Lady Macbeth. Come se Shakespeare, utilizzando il linguaggio proprio della sua epoca, ricco di riferimenti alla stregoneria e all’esoterismo, intendesse andare al di là di quello per dimostrare con i fatti che, indipendentemente delle profezie e dei rituali, la responsabilità dell’essere umano sta sulla terra e, proprio come il suo destino, risponde alle azioni che, di momento in momento, sceglie di compiere.

Per concludere, il Macbeth di Daniele Salvo è un capolavoro da non perdere. Un succedersi di immagini potentissime che rimangono fortemente impresse nella memoria. Insomma, la performance attoriale è di altissimo livello. Gli attori padroneggiano perfettamente i loro corpi, per citare un esempio, è dirompente la scena in cui le tre streghe sorelle, interpretate da Giulia Galiani, Silvia Pietta, Mària Francesca, fanno partorire simbolicamente un uomo – con un movimento pelvico e addominale convulso e così accentuato, da lasciare davvero esterrefatti.

Globe Theatre, Roma, fino al 25 settembre (dal mercoledì al venerdì ore 21, sabato e domenica ore 18)

Nella foto: Graziano Piazza e Melania Giglio