Iniziare dalla fine. Direi che, in questo momento storico, attribuire al concetto di fine un’accezione positiva ha un valore costruttivo e potenziante ed è questo il messaggio veicolato dalla Ick dans Amsterdam, fondata da Emio Greco – Pieter C. Scholten, con lo spettacolo We want it all, presentato in prima nazionale l’8 e il 9 settembre alla Cavea dell’Auditorium, come opera inaugurale della trentasettesima edizione del Romaeuropa festival.
Nel pieno della crisi, con una guerra che sta scuotendo gli animi di tutto il mondo, il cambiamento climatico e l’emergenza energetica, quando la decostruzione è totale e la sensazione è quella di essere costantemente alla vigilia dell’apocalisse, la cosa migliore per reagire è sicuramente quella di ripartire dalla fine. Così We want it all è un inno alla vita e alla libertà.
Uno spettacolo corale, che nasce dall’unione di undici finali tratti dalle oltre 60 opere realizzate dal celebre duo italo-olandese tra il 1995 e il 2020 che, cuciti insieme, si trasformano in un nuovo spettacolo. Un’opera vibrante, all’insegna della speranza, della vitalità e della fantasia.
We want it all, dal retorico sottotitolo “Is this the end?” converte il famoso verso di Freddie Mercury in un appello collettivo di 15 giovani performer della junior company Ick Next che sembrano riunirsi sul palco per far fronte alle crepe del presente. E non c’è dubbio. We want it all è uno spettacolo sul presente, contemporaneo con la C maiuscola che affronta diverse tematiche chiave della nostra epoca; scandito da una colonna sonora che stupisce, perché alterna brani classici, come Bach, a canzoni rock e pop – lasciando inaspettatamente fuori i Queen, a cui la compagnia reca omaggio nel titolo – fino alla musica francese.
La questione dell’energia fa da sfondo a tutto il balletto. Specialmente in alcuni passaggi, sembra che i danzatori si trasformino in vere e proprie fonti energetiche, come se sprigionassero calore ed elettricità con i loro movimenti, rapidi e potenti. Nello stesso tempo, We want it all è un lavoro sull’inclusione, sull’importanza dell’accoglienza, sulle migrazioni. Celebra, dunque, l’uguaglianza che si traduce in un inno alla libertà quando, nella parte finale, tutti i performer entrano in scena vestiti di bianco e si muovono intorno ad un’enorme bandiera bianca.
La libertà in We want it all è un altro dei fili conduttori, uno statement che rispecchia l’identità stessa della compagnia, da sempre proiettata verso l’apertura e la curiosità. Pur stando perfettamente nel tempo e nel ritmo, ogni ballerino interpreta le coreografie in modo libero e personale e questo fa sì che il meraviglioso senso di libertà sprigionato dallo spettacolo non sfoci mai in una caotica anarchia. We want it all è un’opera che scuote ed emoziona, proprio perché offre una sana rappresentazione della libertà, in cui ognuno è se stesso senza ledere gli altri ma anzi contribuendo alla riuscita di tutti rafforzando la propria identità.
Trovo che questo sia un altro messaggio di vitale importanza, dal momento che oggi l’idea di identità mi pare venga messa spesso in discussione, a favore di una tanto decantata fluidità, concetto molto interessante ma foriero di confusione e travisamenti, soprattutto tra i giovanissimi. Il punto è che per crescere ed innescare un cambiamento ci vuole apertura verso ciò che è diverso ma anche coraggio di essere se stessi.
Lo spettacolo di Emio Greco e Pieter C. Scholten, esagerando il gesto coreografico, lasciando liberi gli interpreti di esprimersi, rompe con gli schemi, creando una vera e propria summa poetica; tuttavia, pur proponendo un’idea decisamente innovativa di danza, che respira e diventa vita, i due artisti rendono omaggio al balletto classico, “richiamando”, in maniera dolce, velata ed ironica il famoso Lago dei cigni.
Per tutti questi motivi, la scelta di Fabrizio Grifasi, direttore generale ed artistico del festival, di inaugurare questa 37esima edizione, intitolata Dialoghi, con lo spettacolo della Ick dans Amsterdam è particolarmente riuscita. Dal momento che, oltre che emozionare il pubblico, o meglio, i pubblici del Ref, perché il Romaeuropa festival si rivolge ad un parterre molto eterogeneo, We want it all innesca una serie di riflessioni costruttive, ideali per aprire una manifestazione che si propone come un faro “sull’oggi” e sui temi che più lo caratterizzano: diritti, inclusione, ecologia, patrimonio.
Il Ref 37 si occupa dell’oggi mettendo al centro il concetto di “Dialogo” essenziale per «sintetizzare un sentire profondo che rappresenta la dimensione plurale di scambio, incontro, discussione tra artisti, istituzioni e discipline che è costitutiva del Festival stesso» per citare il direttore. E questa edizione, che finalmente torna agli antichi splendori pre-pandemici, con 400 artiste e artisti da 5 continenti; oltre 80 spettacoli in 18 spazi della Capitale, per ben 74 giorni di programmazione, fino al 20 novembre, ha davvero tutte le carte in regola per rispondere ad un vasto pubblico che ha bisogno di creatività, fantasia, condivisione e per ribadire e sottolineare che dove c’è cultura non ci può essere guerra.
Nella foto: un momento dello spettacolo We want it all (ph. Alwin Poiana)