Letta dice addio al Pd. Conte festeggia pur avendo dimezzato i consensi del M5s. De Magistris annuncia che il percorso di Unione popolare prosegue. Ecco un primo bilancio dei risultati elettorali delle forze "progressiste" e un recap delle loro mosse post voto

Mentre Meloni, Salvini e Berlusconi si preparano a discutere gli assetti della prossima formazione di governo da sottoporre alla fiducia del Parlamento – con ogni probabilità la più sbilanciata a destra dalla nascita della Repubblica italiana – il centrosinistra e la sinistra misurano i risultati raggiunti alle elezioni politiche del 25 settembre e valutano come riorganizzarsi per costruire un’opposizione. Dentro e fuori alle aule parlamentari.

La coalizione di centrosinistra ha ottenuto il 26,1% di preferenze alla Camera, delle quali il 19,1% sono andate al Partito democratico, il 3,6% all’Alleanza verdi e sinistra composta da Sinistra italiana ed Europa verde, il 2,8% da Più Europa, lo 0,6% da Impegno civico di Luigi di Maio. Cifre molto simili a quelle raggiunte al Senato, d’altronde sono state le prime elezioni in cui il corpo elettorale delle due competizioni elettorali era il medesimo, dopo l’abbassamento a 18 anni dell’età minima per votare alla Camera alta. 

Dati del Viminale relativi alla Camera, voti dall’Italia esclusa la Valle d’Aosta, aggiornati al 26 settembre alle ore 18:10. Sezioni scrutinate: 61.394 / 61.417

I collegi uninominali nei quali il candidato o la candidata del centrosinistra ha vinto arrivando primo, però, sono solamente diciassette sui 221 totali, a causa della legge elettorale che premia le grandi alleanze nella parte di competizione regolata con un metodo maggioritario. Se si considerano i dati regionali, la coalizione di centrosinistra non è arrivata prima in pressoché alcuna regione, persino in Toscana ed Emilia Romagna, considerate un tempo feudi “rossi”. 

Per il Partito democratico si tratta di un risultato peggiore rispetto al 22,7% conquistato alle europee del 2019 e leggermente migliore del 18,8% alle precedenti politiche del 2018, che era però considerato una delle peggiori performance dei dem alle urne dalla loro costituzione. In virtù di questo risultato, il Partito democratico ha eletto circa un centinaio di parlamentari (mentre scriviamo la cifra definitiva ancora non è chiara, nda). Gli ultimi sondaggi pubblicabili prima dell’ultimo lasso di campagna elettorale, in cui la loro diffusione era proibita, relativi ad inizio settembre, parlavano di un Pd oltre al 20%, ossia al di là di quella “soglia psicologica” sotto la quale era inevitabile che la leadership di Enrico Letta sarebbe stata messa in discussione. Il segretario, all’indomani del voto, ha annunciato che per «spirito di servizio» accompagnerà il partito al congresso, che si terrà a marzo, «un congresso di profonda riflessione – ha dichiarato – sul concetto di un nuovo Pd», in occasione del quale ha già annunciato di non ricandidarsi. 

Tra i papabili alla successione di Letta, spicca l’attuale presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, ma anche la sua vice Elly Schlein. Non è da escludersi che i due possano proporsi come un tandem con cui tenere unite le varie anime del partito, quella più a destra rappresentata da Bonaccini e quella più a sinistra garantita da Schlein. 

L’inedita alleanza rossoverde, stretta da Sinistra italiana di Nicola Fratoianni ed Europa verde di Angelo Bonelli ed Eleonora Evi, riesce a superare la soglia di sbarramento fissata a quota 3% dall’attuale legge elettorale, arrivando al 3,6% alla Camera, portando in Parlamento una pattuglia di una dozzina circa tra senatori e deputati. Alle europee del 2019 Europa verde aveva totalizzato, da sola, il 2,3%, mentre la lista La sinistra – composta non solo da Sinistra italiana ma anche da Rifondazione comunista, èViva, Partito del Sud e Convergenza socialista – aveva raggiunto l’1,8%. Alle politiche del 2018, invece, i verdi si erano presentati in una lista unica coalizzata col centrosinistra insieme a Psi e i prodiani di Area civica, raggiungendo un misero 0,6%, mentre il partito di Fratoianni all’epoca era una componente, assieme ad Articolo Uno e Possibile, della lista Liberi e uguali, che aveva raggiunto il 3,4% delle preferenze, eleggendo in tutto 18 parlamentari. 

«I numeri dicono questo: un’alleanza più larga avrebbe reso la vita molto più difficile alla destra e forse avrebbe cambiato il dato», ha dichiarato il segretario di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. Ora, ha aggiunto, per «un’opposizione efficace, in Parlamento e fuori dal Parlamento, a una destra che ha ricette che fanno male a questo Paese, io guardo a tutti coloro che sono disponibili e interessati a costruirla». «L’alleanza con il M5s era necessaria», ha detto in modo ancora più esplicito il leader dei verdi Angelo Bonelli. 

Difficile ipotizzare con precisione come sarebbero andate le cose se centrosinistra e M5s avessero scelto di correre insieme: sommare algebricamente i loro risultati elettorali rischia di essere fuorviante, considerato che le due compagini politiche hanno raggiunto tali percentuali grazie a campagne elettorali molto diverse tra loro. Una, quella del Pd, innestata sin da subito sulla cosiddetta agenda Draghi, l’altra, quella del M5s, in opposizione a molte scelte sostenute nei mesi scorsi dall’attuale premier.

Dal canto suo, il presidente del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte ha ribadito lunedì in conferenza stampa che «Letta ha puntato non sulla difesa degli interessi dei cittadini ma sulla difesa dell’agenda Draghi», criticando poi diverse scelte del segretario dem, da quella di volersi inizialmente alleare col Terzo polo di Renzi e Calenda a quella di «puntare il dito» contro il M5s nelle prime dichiarazioni post voto, incolpandolo di aver fatto cadere il governo Draghi e dunque di aver fornito l’occasione a Giorgia Meloni di diventare premier. «Non ci sarà alcun dialogo con questo gruppo dirigente (del Pd, nda)», ha chiarito Conte, mentre ha parlato di possibili intese con Sinistra italiana e verdi su temi come quello del salario minimo. 

Il Movimento 5 stelle, dal canto suo, ha raggiunto il 15,4% delle preferenze alla Camera, un dato in crescita rispetto ai rilevamenti delle scorse settimane, e soprattutto rispetto alle stime di inizio campagna elettorale, quando il M5s era quotato a poco più del 10%, e pagava la scissione operata da Luigi di Maio e la responsabilità di aver innescato la crisi di governo. Al momento, il M5s potrebbe contare su una ottantina tra deputati e senatori.

Dati del Viminale relativi alla Camera, voti dall’Italia esclusa la Valle d’Aosta, aggiornati al 26 settembre alle ore 18:10. Sezioni scrutinate: 61.394 / 61.417

Il Movimento è arrivato primo in circa 15 collegi uninominali sui 221 di Camera e Senato, molti dei quali situati a Napoli, dove ha raggiunto risultati da record. Tra le regioni dove il M5s è stato maggiormente premiato ci sono Campania, Puglia, Calabria e Sicilia. Quello dei pentastellati è un risultato peggiore sia a quello delle politiche 2018, quando toccarono il 32,7%, che a quello delle europee 2019, dove raggiunsero il 17,1%, dopo essere stati in parte “fagocitati” dalla Lega di Salvini. Ciò nonostante, visto il trend positivo delle ultime settimane che Conte ha saputo costruire, e vista la situazione del movimento, che pareva nei mesi scorsi destinato ad un inesorabile declino, i pentastellati hanno potuto rivendicare l’esito di questa tornata elettorale come un piccolo successo. 

La lista Unione popolare guidata dall’ex sindaco di Napoli Luigi de Magistris, infine, raggiunge quota 1,4% e non riesce dunque a superare lo sbarramento ed eleggere propri rappresentanti. La compagine è composta da Rifondazione comunista, Potere al popolo, DeMa e Manifesta.

Dati del Viminale relativi alla Camera, voti dall’Italia esclusa la Valle d’Aosta, aggiornati al 26 settembre alle ore 18:10. Sezioni scrutinate: 61.394 / 61.417

Alle europee 2019 Potere al popolo non si era presentata, mentre Rifondazione aveva corso – come scrivevamo – all’interno della coalizione La sinistra (1,8%). Andando indietro nel tempo, alle politiche 2018 Potere al popolo e Rifondazione si erano presentate assieme al Partito comunista italiano e a Sinistra anticapitalista nell’alleanza Potere al popolo!, ottenendo l’1,1% delle preferenze. Tra le zone in cui Unione popolare è stata maggiormente votata, secondo i dati elaborati da You trend, ci sono il Nord della Toscana, la Campania, la Basilicata e la Calabria.  

«Tutti ci chiedono di non mollare», ha commentato De Magistris sui social: «Dobbiamo adesso realizzare quello che dovevamo fare se non ci fosse stato lo scioglimento anticipato del Parlamento: diffondere il nuovo soggetto politico e coinvolgere la gente, radicarci sul territorio, consolidare i nostri forti legami internazionali, organizzare l’azione politica». Le forze della sinistra che hanno partecipato al percorso comune di Unione popolare, dunque, hanno annunciato di proseguire, al momento, la propria collaborazione. 

Se, assumendo la prospettiva delle forze considerate “progressiste”, più o meno moderate, il bilancio di queste politiche è piuttosto negativo, il quadro cambia se si guarda alla stima delle espressioni di voto per classi di età. Secondo un exit poll realizzato da Opinio Italia per la Rai, che considera i primi dieci partiti più votati per classi di età, in quella tra i 18 e 34 anni il primo è il M5s col 20% (+4,6% rispetto al dato globale), il secondo il Pd col 16% (-3,1%), mentre Fratelli d’Italia è solo al terzo posto col 15% (-11%), al quarto posto c’è il Terzo polo con il 9% (+1,2%), al quinto la Lega col 9% (+0,2%), al sesto i rossoverdi con l’8% (+4,4%), al settimo Più Europa col 8% (+5,2%), al nono Forza italia col 6% (-2,1%), all’ottavo Unione popolare con il 3% (+1,6%).

Le cifre diffuse dalla Rai, dunque, dipingono una generazione, quella dei più giovani, che guarda più a sinistra rispetto alla popolazione più avanti con gli anni. Un’indicazione che, forse, potrebbe lasciare ben sperare.