A colloquio con il cantante e musicologo in occasione dell'uscita del nuovo singolo “Cerchi lei”. «Io credo - dice - che adesso la trasformazione debba essere la parola chiave e che la tradizione, la fissità, in ogni ambito, siano dannose»

Sulla copertina del suo nuovo brano ci sono due sdraie vuote in riva al mare. Forse è l’emblema di un’attesa, chissà che cosa accadrà dopo. Questa sensazione di calma piatta e poi di un movimento improvviso e irrefrenabile lo si ha parlando con Andrea Di Donna. Romano, musicologo, non si sente né cantante né autore, tiene a precisare, ma “un qualcosa” che sta lì. Come Lucio Dalla, dice lui, che era arte. Non è superbia, quella di Andrea, ma solo la sincerità di chi parla col cuore. Soprattutto se si tratta di musica perché il 30 settembre, esce il suo nuovo brano: Cerchi lei.

La copertina del singolo Cerchi lei di Andrea Di Donna. Foto di Sofia Fioramonti

Ma torniamo alla foto e al motivo per cui l’ha scelta per presentare questo nuovo brano: «La foto è di Sofia Fioramonti e mi ha colpito subito. È l’emblema di qualcosa che non è come ti aspetti, che non è costruito, non è apparecchiato. È la scena tipica della mia vita, quella in cui mi dico: “Andrea, mi raccomando, devi dire queste parole in pubblico…”, poi io vado lì e viene un discorso incomprensibile. Io questo cerco di raccontare con le mie canzoni: il non essere come dovrebbe. Quindi vorrei una molteplicità di strade, che non ce ne fosse una sola soprattutto. La canzone deve essere una scoperta anche per me. Mentre la scrivo, deve sapermi sorprendere. Questo non significa che scrivo a caso. Odio la scrittura a flusso di coscienza. La scrittura deve essere divertente, mi deve divertire, formare; mi deve far sentire che ho detto qualcosa di importante». Non lo nasconde che non gli piace molto parlare in pubblico: «Dipende da come sto io, da quello che ho letto, da quello che ho sognato» anche se poi gli faccio notare che quando è stato ospite di Ernesto Assante, per la rassegna Retape all’Auditorium Parco della Musica, di bei discorsi ne ha fatti tanti. Ma preferisce scrivere, suonare e studiare.

Partiamo proprio dallo studio. Tu sei un musicologo.
Io ho fatto studi di storia e filologia della musica. Mi hanno aiutato a capire il senso di quello che faccio. Quando abbiamo deciso di preparare il terreno per l’uscita di Cadillac, io ho scritto un vero e proprio manifesto e la parola chiave era grezzo. L’idea era di pubblicare canzoni che non fossero trattate a menadito, che non fossero curate, ma che mostrassero in sé il loro backstage. Una canzone deve essere nuda, altrimenti non è vera. Motivo per cui quando siamo in fase di registrazione, di produzione, di missaggio, sia che lo faccia da solo sia che lo faccia con gli altri, io insisto perché il suono, il ritmo, non siano sempre mai perfettamente incastrati, deve sembrare un live.

E come è andata con Cerchi lei?
Un giorno sono tornato a casa, ho messo le mani sul piano e ho cantato “Cerchi lei, ma nel posto sbagliato…”. Pam! qualcosa vorrà dire? All’inizio è così chiaro e subito dopo non c’entra nulla. Non è un tipo di scrittura casuale, è un tragitto che deve raccontare non solo il qualcosa, ma il come. In questo, Leopardi insegna: il suono della parola, non soltanto cosa vuol dire la parola. Pensa alla parola “immensità”, le emme ti avvolgono e ti proteggono dal freddo oppure ti scoprono davanti all’infinito. Ti deve far provare cose, ma non è facile riuscirci. Io scrivo perché non trovo una musica adatta a me e quindi la faccio io.

Cerchi lei arriva dopo una serie di singoli, nell’ordine: Cadillac, Senza destinazione e Fulmine. Non hai pensato ancora a realizzare un album?
Ho una serie di brani da inserire in un futuro album, ma è solo un progetto, non c’è ancora niente di concreto che possa portarmi a fissare una data. Potrebbe anche essere che questi pezzi restino singoli o l’album ne contenga solo una parte o nessuno. Sono brani che ho scritto due anni fa, se dovessi fare un album mi attrae l’idea di includerci anche cose più vicine. Fare un album è qualcosa di impegnativo anche a livello di coerenza di sonorità, tra le canzoni. Il mio repertorio, a mio avviso, ancora non ha raggiunto uno stile che possa essere caratteristico. Sto cercando ancora. Un album è un traguardo che, secondo me, viene raggiunto quando hai acquisito una certa coerenza e ti sta bene. Quel vestito sonoro, quel gruppo di parole chiave. Più vado avanti e più cambio e non trovo mai una stazione, una base, un qualcosa da cui partire e a cui tornare.

Nel video Cadillac e Fulmine live comunichi una grande energia con il suono, con la voce e oggi, con il nuovo pezzo, torna questa sensazione del movimento, della ricerca.
L’ho scritto subito dopo il primo lockdown, ed è il primo della serie di brani che poi ho deciso di pubblicare. È stata la canzone che mi ha detto: “Ok, Andrea, ora questa cosa che ti è uscita dal pianoforte e dalla voce è il segno che devi andare avanti”. L’influenza del lockdown c’è, come in tutta la produzione, perché è stato un periodo che ci ha costretti ad un’introspezione, ad una ricerca interna.

La stessa cosa che cercavi allora la cerchi adesso?
È un’opera aperta, che si è declinata nel tempo, che ha fatto di tutto per restare attuale. Lo è ancora adesso; io avuto quel periodo lì di grande concentrazione creativa, non ce ne sono stati altri.

La tua biografia è ricca di collaborazioni teatrali, tra tutti quella con Filippo Timi, in Skianto, una tragi-commedia scritta e diretta dallo stesso Timi. Poi c’è la collaborazione con Antonella Costa, attrice e regista argentina, protagonista di Garage Olimpo di Marco Bechis. Senza tralasciare poi alcune incursioni nel cinema.
Per me è stato fondamentale lavorare con Filippo Timi che era uno eternamente scontento. Ogni volta che andavamo a fare lo spettacolo, lui puntualmente alla fine dello spettacolo cambiava tutto, ribaltava tutto. Come se il presente parlasse a voce alta ogni minuto. Il sentire che va avanti e non è mai fermo. Se mi blocco, se non cambia, mi annoio.

Apparentemente i tuoi brani sembrano canzoni d’amore, ma si ha la sensazione che contengano tanti sentimenti. Che cosa vuoi mettere veramente nelle canzoni?
In realtà, quando scrivo una canzone tengo a liberarmi della ricerca di un significato, cerco sempre di far accadere quello che non dovrebbe accadere; cerco di cambiare strada, di inserire un elemento insolito che fa sì che quello scenario cambi.

A proposito di cambiamento, di movimento, e di scenari futuri, come vedi quello nuovo in politica?
Non seguo la politica come politico, ma come musicologo. Io credo che la trasformazione debba essere la parola chiave di tutto questo e che quindi la tradizione, la fissità, in ogni ambito, siano dannose; sono le cose contro cui si son battuti tutti quelli che stimo di più come Galileo, Brecht, Marx. Per me è una guerra quotidiana dover superare concetti come la famiglia perché bisogna essere indipendenti, privi delle sovrastrutture. Mi viene in mente un film, Opera senza autore, dove le persone hanno il coraggio di fare qualcosa e questo coraggio viene dall’amore, dal rapporto d’amore. Politica e affettività, mentalità e affettività sono molto legate non le puoi scindere. Parlare d’amore, parlare di politica e di coraggio è la stessa identica cosa. Io sono per la raccomandazione di scenari che facciano da contraltare alle cose cattive, alla malattia.

Nella foto: frame del video Cadillac di Andrea Di Donna