La brutale uccisione della curdo iraniana Masha Amini ha scatenato la rivolta in Iran. Che ha già fatto centinaia di vittime a causa della violenta repressione del regime degli Ayatollah. Ma che tuttavia non si arresta, con università in sciopero e una mobilitazione studentesca che non ha pari. Perché questa rivolta è diversa da quelle precedenti? Perché potrebbe essere l’inizio di una vera rivoluzione contro il regime teocratico? Lo abbiamo chiesto a una attivista iraniana che vive in Italia. Per non metterla a rischio la chiameremo con un nome di fantasia. Il nome de plume da lei scelto è Zané Bitarbiat che in persiano significa “donna scostumata”.
«In estrema sintesi la rivolta oggi in Iran si distingue dalle precedenti per alcuni elementi cardine – risponde in modo diretto e pragmatico come chi ha poco tempo da perdere -. In primo luogo è una protesta femminista ma intersezionale contro tutte le forme di oppressione, per questo è riuscita a unire tutto il popolo in Iran scavalcando le differenze di genere, etnia o classe sociale. Così è diventata una protesta radicale e strutturale, in questo senso è una rivoluzione. Ma soprattutto è una protesta con un discorso internazionalista e universale. È sotto gli occhi di tutti: in poco tempo è riuscita ad ottenere un ampio sostegno internazionale proprio perché lotta contro le oppressioni che esistono in tutti i paesi del mondo.
Cosa la distingue questa dalle rivolte precedenti e dall’onda verde?
Negli ultimi anni ci sono state varie proteste in Iran con diverse rivendicazioni. Nel 1999 scoppiarono le proteste studentesche per la libertà di stampa, nel 2009 fiorì il Movimento verde contro i brogli elettorali e per la democrazia. Nel 2017/1018 ci sono state rivolte su scala nazionale contro la discriminazione di classe e il carovita. Nel 2019/2020 seguirono altre manifestazioni sempre di radice economica e per la giustizia sociale. E oggi vediamo le proteste in tutte le regioni iraniane che hanno al centro i diritti delle donne. Nel frattempo, tra le varie suddette ondate di protesta, ci sono state anche varie lotte più specifiche in Iran, contro diverse forme di discriminazione: di classe, etnia e genere. Ricordiamo lo sciopero degli operai dello stabilimento di zucchero di Haft Tappeh o di Acciaio di Ahwaz contro la privatizzazione delle industrie, lo sciopero degli insegnanti contro la privatizzazione delle scuole. La campagna di un milione di firme contro le leggi discriminatorie di famiglia, la protesta delle “ragazze della via di Rivoluzione” contro il velo obbligatorio, le rivolte nella regione araba di Kuzistan, in Kurdistan iraniano e in Baluchistan contro la repressione economica e la crisi ambientale in queste regioni emarginate.
Che tracce hanno lasciato?
Tutti questi movimenti e lotte in queste decenni hanno contribuito alla crescita della società iraniana dal punto di vista della consapevolezza, perché gli iraniani le hanno seguite con l’attenzione. Possiamo dire che la società iraniana, con esperienza e sacrificio, ha acquisito una conoscenza molto avanzata sulle tematiche sociali e politiche. La protesta in corso oggi in Iran si basa su un discorso emancipato e progressista. È sicuramente una protesta contro il regime ma come accennavo, con una lettura femminista e intersezionale. Ed è riuscita a raccogliere tutte le rivendicazioni precedenti contro tutte le forme di oppressione e discriminazione di classe, di genere e di razza. Ecco perché è riuscita ad unire di tutti i gruppi sociali in Iran. Anche gli uomini in questi 43 anni di repressione hanno capito che se le donne non saranno libere, non saranno liberi neanche loro.
Le uccisioni non si fermano, c’è da temere che la repressione possa essere sempre più violenta?
Sì, è un timore concreto, il regime iraniano è uno dei regimi più brutali oggi nel mondo. Purtroppo è anche attrezzato: in molto “avanzato” e sofisticato reprime ogni forma di protesta in modo “soft” ovvero tramite la propaganda e l’intelligence e in modo “hard” tramite le armi e con la forza. Il suo track record è ben noto a tutti quelli che hanno fatto ricerca e seguito la storia politica contemporanea del Paese.
Abbiamo saputo di ondate di protesta nelle città ma anche nelle periferie e della partecipazione di persone di tutte le età a questa lotta no violenta che non è “solo” contro il velo, ma anche e soprattutto contro il regime. Potrebbe segnare la la fine della teocrazia?
Secondo me, come accennavo, questa protesta è sicuramente una rivoluzione culturale e da questo punto di vista ha già vinto. La società iraniana in queste settimane ha fatto un salto gigantesco ed è diventata molto emancipata. Le donne in questo movimento hanno acquisito una posizione di grande rilievo nella mentalità di ogni iraniano. Nessuna scuola o programma politico avrebbe potuto ottenere un tale risultato in così poco tempo. Per quanto riguarda invece l’altra forma di rivoluzione che prevede il rovesciamento del regime, dovremmo attendere ancora ma non è da escludere. Le proteste questa volta si sono prolungate molto e i manifestanti hanno più esperienza anche nella lotta contro la polizia e l’apparato repressivo del regime. Per fare la rivoluzione, però, ci devono essere determinate condizioni.
Ovvero?
Una “causa” e in questo caso esiste ed è molto potente, si chiama Donna, Vita e Libertà. Una partecipazione di massa e i manifestanti sono uniti e sono milioni. Ma serve anche l’organizzazione: purtroppo a causa della repressione, i manifestanti non sono del tutto organizzati. Ma forse la tecnologia riuscirà anche a colmare questa mancanza…vediamo.
Scioperi nelle università, ma anche nelle scuole superiori. Si parla di una grande partecipazione degli studenti. Sta maturando una nuova consapevolezza civile fra loro?
I ragazzi in Iran si sono sempre occupati di politica. L’Iran, diversamente dalle società occidentali o dalle cosiddette società sviluppate e democratiche, non è affatto politicamente addormentato. Anche perché il peso del regime si sente anche in modo concreto già dall’età di 7 anni. Mi riferisco alle bambine che sono costrette a portare il velo, ai ragazzi che sono costretti a ripetere la propaganda del regime nelle scuole senza proferire parola o ai giovani che devono fare conti con la censura e molte altre politiche repressive. I giovani iraniani hanno sete di conoscenza. Internet ha aiutato questi ragazzi ad avere accesso a tutte le informazioni che cercavano in questi anni. Ha aiutato a formare gruppi e dibattiti su molte tematiche che si sono sviluppate sui social network. Insieme alle lotte che ho menzionato prima, questi fattori hanno fatto sì che la società iraniana sia in buona parte politicamente consapevole e matura, già da un’età molto giovane.
Le donne in particolare sono le più colpite ma non arretrano. Perché gli ayatollah e tutti i regimi religiosi odiano le donne?
Allora è importante notare che il regime iraniano non è soltanto un regime teocratico. Questo regime, così come tutte le altre organizzazioni ideologicamente basate sull’integralismo islamico, come ad esempio i talebani, hanno un elemento in comune: la discriminazione. Da questo punto di vista questi movimenti sono molto simili al fascismo e al nazismo. Solo che il fascismo storico ha alla base e mette in pratica la discriminazione “razziale”. L’integralismo islamico invece implementa la discriminazione del “genere”.La prima cosa che fece Hitler fu discriminare gli ebrei e obbligarli fisicamente a portare una fascia con la Stella di Davide sul braccio. Nello stesso modo, il regime iraniano, all’indomani dell’insediamento al potere dopo la rivoluzione del 1979, per prima cosa ha costretto le donne a portare il velo e ha modificato tutte le leggi della famiglia per colpire le donne. Ecco perché non parlerei di regime teocratico ma di regime “islamo-fascista”. Anche per un discorso di giustizia pensando a un domani quando, come ci auguriamo, la società iraniana sarà libera. Bisogna identificare e avere ben chiaro il “reato” che hanno commesso questi criminali in questi decenni. Praticare una religione di per sé non è un reato. Dobbiamo stare attenti.
Accanto alle donne che si tolgono il velo si vedono anche giovani uomini che gridano “Donna, vita, libertà”. È cresciuta una nuova consapevolezza maschile?
Assolutamente sì. Anche se la lotta contro il patriarcato, ovviamente, non è finita: la sua struttura ha una storia millenaria. La maggior parte degli uomini, in particolare i giovani, hanno compreso che le donne manifestanti stanno rivendicando la loro libertà insieme alla libertà per tutti compreso il genere maschile. Ma ci sono sempre gli uomini in Iran, così come in Italia e in tutto il mondo, che cercano di negare i discorsi femministi e chiedono “What About Men?” Per esempio chiedono perché non venga inclusa la parola “uomo” negli slogan del movimento e accusano il movimento di essere contro il genere maschile. Hanno perfino tentato di cambiare lo slogan “donna, vita e libertà” introducendo quest’altro slogan: “uomo, patria e sviluppo”! La reazione delle donne iraniane a questi tentativi? È stata molto femminile. Ci passano sopra con un sorriso perché l’essenza della loro protesta ormai è talmente potente che non la si può più fermare. Ormai tutto il mondo sta gridando: donna, vita e libertà!
Con la censura imposta dal regime i manifestanti come riescono a comunicare? Come riuscite a tenervi in contatto?
Essendo molto giovani, e perlopiù millennial, gli iraniani ormai sanno come aggirare i filtri imposti dal regime su internet. Telegram sicuramente è un sistema molto diffuso e utilizzato da noi. Ci sono migliaia di canali e gruppi iraniani su telegram con temi politici. Ecco, prima parlavo della mancanza di organizzazione tra i manifestanti. Penso sicuramente che telegram abbia aiutato anche a organizzare meglio queste proteste “grass-root” e spontanee. Tramite questi canali e gruppi, gli iraniani lanciano anche gli slogan delle proteste e possiamo anche formulare una sorta di manifesto “in pillole” ad hoc per ogni protesta e durante il suo percorso, che viene subito condiviso tra la massa. Da questo punto di vista la tecnologia e internet ha aiutato molto. Sì riesco a contattare gli iraniani ma chiunque può farlo volendo. Basta saper parlare persiano e aderire a questi gruppi telegram o partecipare ai social network iraniani.
Quanto è importante risvegliare l’attenzione internazionale?
L’importante è non dimenticare e non abbandonare questa protesta. Io sono molto critica verso certi media mainstream in Italia e nei Paesi occidentali. Il giornalismo qui molte volte, è un giornalismo commerciale. Il giornalista scrive seguendo il trend della giornata per “vendere al meglio” il suo articolo. Le cause come quelle iraniane, per i giornalisti, presto “passano di moda”. Questo non deve accadere. Quindi quello che posso dire è, se veramente la comunità giornalistica è solidale ed è ispirata dall’idea “Donna, vita e libertà”, deve continuare a mantenere i propri riflettori accesi, anche se il regime dovesse reprimere e azzittire questo movimento per un certo periodo. Anzi è proprio in questi momenti bui che bisogna fare informazione.
Come valuti l’ipotesi di sanzioni avanzata da esponenti politici europei? Rischierebbero di colpire ulteriormente la popolazione?
Francamente l’argomento sanzioni “sì o no” per gli iraniani è datato. Gli iraniani sono sotto sanzione dal regime da oltre 40 anni. Il dibattito su questo tema è più volto agli interessi della borghesia occidentale. Non riguarda l’interesse del popolo iraniano. Certo le sanzioni che colpiscono determinati prodotti come i medicinali etc, sono disumani. Ma in generale agli iraniani interessano poco gli scambi commerciali dell’entourage del regime iraniano con le aziende multinazionali occidentali. Tanto non saranno loro a vederne i profitti.