Con l’obiettivo di perseguire la via del cessate il fuoco attraverso la diplomazia, dal 21 al 23 ottobre si svolgerà in diverse città italiane una mobilitazione dal titolo “Verso una conferenza internazionale di pace”. Una soluzione che alla luce della minaccia atomica di Putin e degli ultimi attacchi missilistici russi su Kiev si fa ancor più urgente e necessaria. Il testo che segue è il racconto della nuova Carovana della pace (la prima era partita in aprile) che si è tenuta dal 26 settembre al 3 ottobre, una iniziativa «per incontrare e stringere rapporti con la società civile, ed in particolare gruppi giovanili di studenti e obiettori di coscienza e il Movimento pacifista ucraino».
Una settimana in Ucraina, raggiunta via Slovenia, Ungheria, Romania, entrando dalla frontiera di Siret, dopo aver oltrepassato i Carpazi e la Transilvania. Cinquemila chilometri percorsi con il nostro camper, un van, tre automobili, e con il treno notturno di Ukrzaliznycja che impiega oltre 15 ore di viaggio per arrivare a Kiev attraversando tutto il Paese, con lo scotch ai finestrini per evitare schegge in caso di deflagrazione.
La quarta Carovana di pace “Stop the war now”, composta da 25 persone, è partita il 26 settembre e rientrata in Italia il 3 ottobre. Abbiamo portato un carico di aiuti umanitari, tre metri cubi di vestiario invernale (giacche a vento, maglie termiche, sacchi a pelo) come ci è stato chiesto dalle associazioni partner che assistono i profughi provenienti dai territori occupati del Donbass.
Ma la nostra missione, oltre che di solidarietà con le vittime, questa volta aveva un carattere prevalentemente politico: incontrare e sostenere concretamente gli obiettori di coscienza, i pacifisti e i nonviolenti ucraini, con le associazioni della società civile coinvolte nei processi di peacebuilding, la costruzione della pace e il rispetto dei diritti umani.
Guidata da Un Ponte per e dal Movimento nonviolento la Carovana ha avuto un’agenda fitta e ha realizzato tutti gli obiettivi che si era posta.
Nella bella Università di Chernivtsi, patrimonio Unesco, abbiamo incontrano i giovani studenti (facoltà di giornalismo, giurisprudenza, scienze politiche, storia) per il seguitissimo seminario “Immaginare la pace durante il conflitto”, introdotto da tre relazioni in presenza: sul peacebuilding di Mohamed Ambrosini di Un Ponte per, su “giovani, pace e sicurezza” di Daniele Taurino del Movimento nonviolento e sul tema “Per un’Europa giovanile e democratica” di Antonio Argenziano, Segretario generale della Gioventù federalista. Con i docenti universitari abbiamo messo le basi per la realizzazione nell’Università ucraina di un corso di Scienze per la pace, in collaborazione con la “Rete Università per la pace” italiane. Sarebbe la prima volta in un Paese in guerra.
C’è stato poi un incontro con associazioni giovanili, studenti e giornalisti per un confronto sul ruolo della società civile nella costruzione della pace attraverso il partenariato umanitario e il lavoro delle organizzazioni non governative nella solidarietà con le vittime della guerra.
Lasciata Chernivtsi, siamo arrivati a Kiev. La città, di chiaro respiro europeo, è contraddittoria: il traffico scorre ordinato, ma nella metropolitana si avverte un clima di tensione e preoccupazione. Negozi e ristoranti sono comunque pieni, ma la normalità prevale solo fino alle 23, poi scatta il coprifuoco e le luminarie si spengono. Il suono della sirena alle 4 di notte, è impressionante. Solo pochi scendono nei rifugi. Dopo 10 minuti sul cellulare arriva il segnale di cessato allarme.
Nell’Hotel dove alloggiavamo siamo stati raggiunti dagli attivisti del Movimento pacifista ucraino (Upm). Yurii Sheliazhenko, segretario del Movimento, ci ha accompagnati alla statua del Mahatma Gandhi eretta nel centralissimo giardino botanico, presenti anche altri due rappresentanti di Upm, l’obiettore Sergej e l’attivista Katya, che leggono e commentano la loro proposta di “Agenda di pace per l’Ucraina e per il mondo”. Dicono: «Dobbiamo sfidare con la nonviolenza lo stereotipo della vittoria militare». E aggiungono: «La pace e la solidarietà in Europa e nel mondo è un sogno potente, ma si è trasformato nella selvaggia illusione di schiacciare il nemico comune ad ogni costo, trascurando il fatto che esso già convive con la paura ed è costretto ad affrontare quotidianamente orribili spargimenti di sangue, carenza di cibo, iperinflazione, crisi economica ed ecologica e l’incubo di una concreta guerra nucleare seriamente pianificata. Pace e solidarietà comportano la necessità di un cessate il fuoco immediato e di colloqui di pace globali per trovare un terreno comune tra l’Ucraina e la Russia, tra l’Est e l’Ovest». A margine abbiamo conosciuto l’avvocata del giornalista pacifista Ruslan Kotsaba, sotto processo per “alto tradimento” per sue dichiarazioni, con rischio condanna a 15 anni di carcere, con l’obiettivo di sostenere la difesa legale e accendere i riflettori internazionali sul caso.
Proseguono gli incontri con le realtà della società civile. Nella loro sede incontriamo una ong che fornisce assistenza legale ai lavoratori in lotta: dall’inizio della guerra sono stati persi 5 milioni di posti di lavoro, in una condizione di totale deregolamentazione che prevede anche licenziamenti senza nessun ammortizzatore sociale. Una dirigente e una delegata del sindacato del pubblico impiego ci dicono della loro forte preoccupazione per il taglio, dall’inizio della guerra, del 30% dei lavoratori, la mancanza di parità salariale e la diversità di trattamento di genere rispetto agli standard dell’Unione europea cui si guarda come riferimento per i diritti.
Poi abbiamo visitato i centri giovanili ucraini, finanziati dal ministero dello Sport e della gioventù, che dal giorno dell’inizio della guerra si sono trasformati in centri logistici per l’aiuto umanitario e per il supporto psicologico e comunitario, rielaborazione del trauma e promozione di cultura come strumento di pace. Conosciamo anche due attivisti nei territori occupati, visibilmente stremati dopo mesi di spola portando aiuti e riportando, quando possibile, profughi: un’azione di resistenza civile sempre più difficile in luoghi dove manca totalmente ogni informazione, mancano i mezzi di comunicazione, prevale il disorientamento, e dove cresce l’odio reciproco.
Nella sede del Consiglio nazionale dei giovani ucraini (Nycu) la carovana ha ascoltato i bisogni delle organizzazioni giovanili che vogliono continuare il proprio impegno non soltanto nel campo umanitario, ma anche nella promozione dei diritti e di una società più giusta, inclusiva e pacifica. Da parte nostra abbiamo offerto la collaborazione per iniziative congiunte.
La responsabile dei programmi dell’Institute for peace and common ground, ha posto l’accento sull’importanza di non pensare alla pace soltanto alla fine del conflitto ma di costruire fin da ora percorsi di giustizia riparativa e dialogo anche con campagna comunicative e sociale contro i discorsi d’odio per aumentare la resilienza delle comunità locali.
Infine abbiamo realizzato anche due incontri istituzionali, con l’Ambasciata italiana e la Nunziatura apostolica a cui abbiamo esposto i contenuti e gli obiettivi della nostra carovana.
Siamo tornati a casa con l’agenda piena di contatti e l’impegno di far conoscere le voci di chi in Ucraina non chiede armi ma lavora concretamente per ottenere pace.
Considerano questa la vera vittoria possibile.
L’autore: Mauro Valpiana è presidente del Movimento nonviolento e componente dell’Esecutivo di Rete italiana Pace e disarmo
Nella foto: manifestazione per la pace in Kazakhstan, 6 marzo 2022