La storia cupa, che dagli anni Trenta giunge ai giorni nostri, quella del fascismo e del nazismo, va letta come una rete i cui fili, di fatto, non si sono mai interrotti. Uno di questi è il legame continuo e mai totalmente investigato, della connivenza fra settori prima del regime hitleriano, poi degli stragisti ed oggi delle organizzazioni che, più o meno apertamente, si richiamano all’ideologia nazionalsocialista, e alcuni settori affatto marginali della Chiesa cattolica. Nel volume di recente uscita, edito da Round Robin, Il ritorno del reich, sulle tracce di un nuovo Piano Odessa, la rinascita della rete nera, di Antonella Barranca e Andrea Palladino, qualche riferimento significativo ed un accurato lavoro di ricerca, confermano tale connivenza fornendo nomi, riferimenti, vicende acclarate. Se durante l’ascesa di Hitler il Vaticano ha col nazismo un rapporto estremamente ambiguo, di fatto non ne contrasta i principi, l’entrata in guerra apre delle contraddizioni.
L’antisemitismo, fondato sull’accusa di deicidio e il furore contro i bolscevichi, fanno schierare una parte di clero con il dittatore, altri o cercano di mantenere un rapporto col regime (così diranno poi) per mitigarne la violenza o, pochi, si oppongono fermamente e cercano di contrastarlo. Accade per il quadro internazionale, perché l’esito del conflitto è in un paio d’anni segnato, ma anche perché nella sua megalomania Hitler e il suo apparato di propaganda sposano una visione esoterica e pagana del mondo da costruire inaccettabile per la Chiesa. Con il crollo, la caduta di Hitler e il processo di Norimberga, riemergono però quelle complicità del passato. Ci sono migliaia di ufficiali e criminali nazisti a cui fornire salvezza e nasce forse quella che verrà chiamata la “Rete Odessa” (Organisation der ehemaligen SS-Angehörigen, Organizzazione degli ex membri delle SS). Che sia mai esistita o meno non è certo, il nome deriva dal fortunato romanzo dello scrittore Frederick Forsyth Dossier Odessa, fatto sta che, al di là del nome, furono migliaia coloro che riuscirono a rifarsi una vita soprattutto in America Latina ma anche in numerosi Paesi del pianeta. Fuggire non era facile, uno di coloro che li aiutò di più fu certamente il vescovo austriaco Alois Hudal, sostenuto in Vaticano da alcuni influenti cardinali.
Probabilmente, affermano gli autori del volume, furono diverse le reti, le “associazioni”, i punti di sostegno che favorirono la salvezza di criminali come Mengele, Eichmann, Barbie, Priebke, per citare quelli a noi più noti. Se ne andarono col sogno di ricostruire un reich per il futuro e si ritrovarono a divenire proprietari terrieri, soprattutto nel Chaco paraguayano, a trafficare droga, a ospitare coloro che fuggirono nei decenni successivi dopo aver tentato, con le stragi, di riportare Paesi come l’Italia sotto regimi autoritari. Si ritrovarono ad appoggiare, forti della propria esperienza di intelligence o di macellai, le peggiori dittature latinoamericane. In quel caso incontrarono tanto una Chiesa prona alle dittature, quanto preti che scelsero di pagare con la vita l’appoggio alle diverse forme di resistenza. Ad aiutare i nazisti in fuga, fornendo documenti e nuove identità, rotte per passare inosservati, opportunità di lavoro, furono anche dirigenti della Croce Rossa internazionale, agenti Usa e del Regno Unito ormai proiettati nella guerra fredda e nella lotta con ogni mezzo contro il nemico comunista. Anche in questo campo i criminali, non più in divisa, potevano vantare esperienza e competenza.
Negli anni Sessanta e Settanta soprattutto l’Italia, ritenuta Paese a rischio per la forte presenza di una sinistra non solo comunista, fu teatro di quella pagina nera ormai nota come “strategia della tensione”: golpe più o meno reali, tintinnar di sciabole, attentati terroristici compiuti da organizzazioni, sostenute da apparati dello Stato e che si richiamavano apertamente al fascismo e al nazismo come Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale. Queste ed altre formazioni, infatuate dal ritorno alla “tradizione” di J. Evola, di fatto riaffermavano i principi “dio, patria e famiglia”, mai dimenticati. Quando non divennero più utili per stabilizzare il sistema, ai loro dirigenti, sedicenti nazional rivoluzionari, vennero garantite le stesse vie di fuga, prima verso la Spagna di Franco, il Portogallo di Salazar, la Grecia dei “colonnelli”, quindi verso il Sud America dove incontrarono i loro miti giovanili.
Una storia passata? Affatto. Se è vero che oggi quasi tutti i gerarchi sono defunti, e se è altrettanto vero che i personaggi oscuri che hanno attraversato il periodo stragista sono o passati a miglior vita o vivono apparentemente dimenticati, qualcosa si continua a muovere. Organizzazioni come Forza Nuova, o la Rete dei patrioti (sua scissione), non mancano di raccontarsi come profondamente legati alla fede, anche se magari non approvano l’attuale gestione del Vaticano. Si incontrano in cerimonie solo apparentemente nostalgiche, organizzano raduni in cui celebrano la morte di qualche loro “camerata” ucciso o defunto per altra causa. Ebbene, a gran parte di queste cerimonie funebri, non è strano incontrare qualche sacerdote che benedice il caduto. Pietas cristiana o sotterranea condivisione dei valori di cui i caduti e coloro che li celebrano sono portatori? Facile credere alla seconda ipotesi. Facile perché le adunate dei movimenti antiabortisti, i family day, vedono spesso la presenza degli stessi volti.
Da ultimo il sistema valoriale nazista e fascista, nelle loro diversità, hanno allargato il proprio bacino di consenso. Si pensi al razzismo, sia declinato secondo le teorie differenzialiste di Alain de Benoist, sia quelle spirituali di J. Evola e R. Guenon, sia quelle fondate sul suprematismo di più antica data. Sono elementi fondamentali per ogni “vero neonazista”. Razzismo, xenofobia, omofobia, ritorno ad una natura incontaminata per ristabilire i valori tradizionali, eliminare ogni traccia di modernità dell’Illuminismo e ogni forma di egualitarismo sono i punti cardine su cui, avendo anche fatto proprio oscenamente Gramsci, i novelli alfieri neri vorrebbero imporsi in Italia come in Europa costruendo egemonia culturale.
Ne Il ritorno del reich ci sono precisi e puntuali ricostruzioni di come questo progetto, lungi dall’essere il carattere identitario di piccole organizzazioni, sia nei fatti permeante anche nei partiti politici oggi di governo. Molti degli uomini e delle donne cresciuti avendo queste letture come bagaglio culturale, e ritrovandosi al potere 100 anni dopo la marcia su Roma, hanno elementi di forte pericolosità. È vero che per accreditarsi come forze di governo dovranno recedere da molte delle promesse minacciose fatte in campagna elettorale e abbassare le pretese soprattutto nella gestione delle risorse finanziarie e del “sistema Paese”. Ma possono contribuire a spostare ancora più a destra di quanto lo sia oggi, il pensiero comune, la visione del mondo ed è grave che il fenomeno abbia dimensioni non solo nazionali. L’antidoto è conoscere bene questo passato che non è mai rimosso – e per questo vanno ringraziati gli autori per il loro lavoro – ma è anche (questo un libro non può dirlo) ricostruire una sinistra in grado di produrre gli anticorpi necessari a sconfiggere un virus mai debellato.