L’immagine bellissima di una donna, Liliana Segre, che presiede la seduta del Senato e con voce pacata e ferma pronuncia un discorso alto che parla di antifascismo, attuazione della Costituzione, dell’importanza di date storiche dal grande valore simbolico come il 25 aprile, il primo maggio, il 2 giugno. La senatrice a vita sopravvissuta alla Shoah e che ha passato la vita a combattere il fascismo (anche andando a parlare nelle scuole) si è trovata a presiedere il Senato nel giorno in cui alla presidenza è stato eletto Ignazio Benito Maria La Russa, «uomo di parte» come si definisce lui stesso, politico di ultra destra, già dirigente del Movimento sociale italiano, collezionista di busti di Mussolini (e non per folclore), che rivendica di non essere mai stato antifascista. Molto ci sarà da dire su questo evento spartiacque nella storia della Repubblica italiana che accade nell’anno del centenario della marcia su Roma.
Liliana Segre stessa da rivelato di essere stata colta da «vertigine» al pensiero che toccasse a lei aprire questa legislatura, lei che da «bambina in un giorno come questo nel 1938 fu costretta dalle leggi razziste a lasciare vuoto il suo banco di scuola». Segre volutamente non dice leggi razziali ma razziste accendendo un faro sul pericolo rappresentato da Lega e Fratelli d’Italia che si accingono a governare questo Paese a colpi di decreti sicurezza e illegali blocchi navali. Nel suo alto e appassionato discorso Liliana Segre evoca il costituente Calamandrei, cita Matteotti che fu barbaramente ucciso dagli sgherri di Mussolini. Ma il voto di 12 milioni di italiani trasformati dal Rosatellum e dell’astensione in clava anti democratica hanno fatto sì che Liliana Segre abbia dovuto subire anche l’onta di dover vedere un postfascista mai pentito salire sullo scranno della seconda carica dello Stato.
Come ha rivendicato La Russa nel suo discorso di insediamento la sua elezione è avvenuta con il concorso di 16 senatori dell’opposizione (che si è rivelata essere solo minoranza frammentata) che sono andati segretamente in soccorso di Fratelli d’Italia. Se l’opposizione avesse voluto fare opposizione impedendo ogni ambiguità avrebbe dovuto scegliere di votare un candidato di bandiera (come ha fatto il giorno dopo alla Camera scegliendo il nome di Cecilia Guerra) e non scheda bianca. Chi siano i franchi tiratori che in modo disonesto negano di aver votato La Russa lo sapremo non appena saranno resi noti i nomi dei sottosegretari e di altre cariche, maligna qualcuno. Ma è già palese che Azione e Italia Viva si sono offerte più volte di dare una mano al nascente governo di ultra destra. E non sono i soli. Ma un grave concorso di colpa è addebitabile anche a Luciano Violante che ha aperto la strada a quel che accade oggi con il suo famigerato discorso di insediamento come presidente della Camera in cui paragonava il sacrificio dei partigiani a quello dei ragazzi di Salò.
Ignazio Benito Maria La Russa lo ha pubblicamente ringraziato per poi lanciarsi subito sul tema del presidenzialismo, evocando bicamerali e addirittura una Assemblea costituente. Che di fatto significherebbe annullare la Costituzione vigente. «Fare una Assemblea costituente significa che la Costituzione vigente viene azzerata e riscritta dalle fondamenta: chi fa le leggi come vengono garantite le libertà», ha commentato l’ex presidente della Consulta Ugo De Siervo. Diciamolo senza infingimenti, questo è il progetto eversivo di Fratelli d’Italia: cancellare la Costituzione antifascista.
Ipocritamente La Russa ha detto «condivido parola per parola quel che ha detto la senatrice Segre», prima di liquidare la Costituzione come «poco efficiente». La senatrice aveva detto l’opposto, parlando della Costituzione come «un faro per tenere la barra dritta nei tempi di tempesta», ricordandone la matrice antifascista e resistenziale dicendo che la Costituzione va attuata e non cambiata, ricordando che tutti i tentativi fatti fin qui per modificarla sono stati peggiorativi. Parole che sono state prese a picconate anche dal nuovo presidente della Camera, il leghista Luciano Fontana nel suo discorso di insediamento centrato sul tema dell’autonomia differenziata (che Viesti giustamente chiama secessione dei ricchi), che di fatto nega l’uguaglianza e l’universalità dei diritti che sono principio cardine della Carta.
Cattolico integralista, ex ministro della famiglia ultraconservatore, Fontana ha centrato il suo discorso – infarcito di citazioni del papa, di san Tommaso e di Beati – sulla difesa dei deboli. Proprio lui che da parlamentare europeo ha stretto la tela dei rapporti fra la Lega e le destre più xenofobe in Europa e ha avvicinato Salvini e la Le Pen. Proprio lui che nel 2014 plaudiva l’uomo forte Putin per l’annessione della Crimea. Proprio lui che con Dugin, Salvini, Pillon e la peggiore destra americana celebrò il congresso internazionale della famiglia. Ultraconservatore e tradizionalista, ha sempre messo in primo piano nella sua attività politica la sua fede cattolica, brandita come un’arma contro l’aborto, le unioni civili, il matrimonio tra omosessuali. Crociato delle radici cattoliche dell’Europa e del motto Dio, patria e famiglia come presidente della Camera sarà super partes come promette? O piuttosto sarà l’angelo nero di un governo Meloni che più nero non si può?
Parliamo di un governo che potrebbe vedere il ritorno di Salvini ministro (anche se non al ministero dell’interno verso il quale veleggia Matteo Piantedosi), con Adolfo Urso di Fratelli d’Italia, che potrebbe andare alla difesa, con il fondatore di Fratelli d’Italia e dirigente d’azienda Guido Crosetto che potrebbe andare a guidare un ministero strategico come lo sviluppo economico cancellando ogni possibilità di transizione ecologica. Avremo molto da scrivere e da lottare.