Chissà se in questi giorni da qualche radio uscirà la voce di Laura Nyro. Sarebbe la maniera giusta di celebrare questa straordinaria cantautrice americana, nata 75 anni fa e scomparsa precocemente nel 1997. Stupisce quanto poco sia ricordata oggi, eppure il suo stile incredibilmente innovativo ha rivoluzionato il pop di fine anni Sessanta e influenzato generazioni di musicisti. Di lei Elton John ha detto: «Era il mio idolo. Ho cambiato il modo di comporre dopo aver ascoltato le sue canzoni».
Laura nasce il 18 ottobre 1947, a New York, per l’esattezza nel Bronx, da Lou Nigro e Gilda Mirsky. I nonni hanno radici italiane ed ebree, ucraine e lituane. La musica è di casa: Lou è trombettista jazz e accordatore di pianoforti; Gilda, impiegata, ama l’opera e ascolta dischi di Ravel e Debussy. La piccola comincia a suonare il piano intorno ai sei anni, quando il padre compra per 25 dollari uno Steinway a coda. I genitori progressisti non la mandano a messa o in sinagoga, ma alla scuola della Ethical Culture Society, ispirata all’umanesimo laico del riformatore sociale Felix Adler. Laura sviluppa una personalità non religiosa ma profondamente spirituale. Non ho paura di morire, davvero non m’importa – canta in “And When I Die”, composta a soli sedici anni – Se morire dà la pace, ebbene, che venga presto l’ora/ Sono certa che il paradiso non esiste/ ma spero non esista l’inferno/ Datemi la mia libertà, perché fino a che sono al mondo/ ciò che chiedo alla vita è di non aver catene/ e ciò che chiedo alla morte è che sia naturale.
Con questa canzone (che, detto per inciso, sarebbe un bellissimo inno per i movimenti “liberi fino alla fine” che chiedono una legge sull’eutanasia legale) Laura fa ingresso nel mondo discografico, mutando definitivamente il cognome in “Nyro”. Il suo 33 giri d’esordio, More than a New Discovery (1967), è la prima fioritura di un’anima musicale cresciuta con Billie Holiday e Nina Simone, Miles Davis e John Coltrane, che impasta Broadway col folk, il gospel e il doo-wop. La sua voce di tre ottave e mezzo canta di amori spezzati o impossibili (“I Never Meant To Hurt You”, “He’s A Runner”, “Lazy Susan”), della vertigine del desiderio (“Blowin’ Away”), di strade ove la morte batte cassa come la campana del vespro (“Buy And Sell”). È nata un’artista. Col suo personalissimo mondo poetico è forse la capostipite delle cantautrici, prima di Joni Mitchell e Carole King.
Ma è nel secondo disco, datato 1968, che Laura Nyro riesce a esprimere pienamente il suo potenziale creativo. Eli and the Thirteenth Confession è una sorta di concept album in cui la ragazza del Bronx dà l’addio alla propria adolescenza. La furia dell’amore, romantico o sensuale, che travolge ogni cosa (“Eli’s Comin’”, “The Confession”), la solitudine (“Lonely Women”), lo “sballo” gioioso del vino (“Sweet Blindness”, “Stoned Soul Picnic”) e quello angoscioso della droga (“Poverty Train”), l’attenzione di una donna per una donna (“Emmie”)… Temi eterni e temi nuovi, inediti nella cultura pop. Nyro li svolge con maturità sorprendente, in versi onirici riecheggianti Emily Dickinson, Edna St. Vincent Millay, Bob Dylan. E che musica! Composizioni più ardite e spiazzanti che mai, ricche di cambiamenti di tempo, accordi insoliti e acrobazie vocali, sorrette dagli arrangiamenti lussuosi e congeniali di Charlie Calello. Ogni brano contiene idee melodiche bastanti per un intero lp di un medio artista pop. Il vinile, inoltre, è uno dei primissimi a includere i testi, stampati su richiesta dell’autrice in inchiostro profumato. Eli non supera il n. 181 nelle classifiche di vendita ma lascia il segno nel pubblico. Se ne accorgono tanti altri artisti, che “rubano” le sue canzoni portandole al successo: Blood, Sweat and Tears, Barbra Streisand, Sammy Davis jr., Fifth Dimension, Linda Ronstadt, Diana Ross… Da allora, il destino di Laura Nyro sarà di avere fama e proventi più come autrice che come interprete. Questo, a dispetto dell’eccezionale intensità delle sue performance dal vivo e per tacere dell’abilità proverbiale nel far proprie le creazioni altrui (su tutte, “Up On The Roof” di Carole King e “Walk On By” di Bacharach/David).
A Eli seguono altri bellissimi lavori. New York Tendaberry (1969), ritratto intimista della Grande Mela e delle vite solitarie e alienate che la popolano. Christmas and the Beads of Sweat (1970), con ospiti quali Duane Allman e Alice Coltrane. Gonna Take A Miracle (1971), tributo alle radici soul e R&B in compagnia delle Labelle. Poi, all’apice della carriera e forte di un contratto milionario e libero da scadenze con la Columbia, Nyro decide di uscire di scena. Niente concerti, nessuna nuova incisione, per anni resta lontana dai riflettori. Una scelta controcorrente che le permette, però, di esercitare il pieno controllo sulla produzione e di pubblicare solo quando desidera.
Le sue apparizioni discografiche si diradano: nel ’76 esce Smile, poi il live Season of Lights (1977), Nested (1978), Mother’s Spiritual (1984), Live at the Bottom Line (1989), Walk the Dog and Light the Light (1993). È una gestione accorta e parsimoniosa, quasi “kubrickiana”, della propria opera, senza cedimenti ai gusti più facili e commerciali. La sua scrittura, prima impetuosa e visionaria, ora si fa più raccolta e intima. Dagli arrangiamenti orchestrali passa a sonorità tipicamente folk-rock (chitarra, basso, bongo e sax), quindi a un sound jazz-rock-funk, sempre attorniata da strumentisti di altissimo rango come John Tropea, Mike Mainieri, Bernard Purdie. Laura nel frattempo si sposa, si separa, ha un figlio da un’altra relazione, infine ritrova l’amore con la pittrice Maria Desiderio che sarà la sua compagna sino agli ultimi giorni. Canta le disillusioni dell’industria discografica (“Money”), l’orgoglio dell’identità femminile nell’arte (“Louise’s Church”, dedicata a Saffo, Billie Holiday, Frida Kahlo e Louise Nevelson) e nella società (“A Woman of the World”, “The Right to Vote”), l’amore per la natura (“A Wilderness”, “Trees of the Ages”), la difesa degli animali e dei loro diritti (“Lite A Flame”, “Wild World”), il genocidio dei nativi americani (“Broken Rainbow”), la struggente poesia della maternità (“To A Child”).
L’8 aprile 1997 si spegne per un tumore, a soli 49 anni. Sua madre Gilda era morta alla stessa età, della stessa malattia. Nel 2001 appare un cd di inediti, Angel in the Dark, poi altre registrazioni escono dagli archivi. Le più recenti: Trees of the Ages, dalla tournée giapponese del ’94, e Go Find the Moon, audio del suo provino alla Verve. I figlio dell’artista, Gil Bianchini, sta lavorando a un film ancora senza titolo (che uscirà quest’anno), come riporta il sito di Deadline. Il documentario è ispirato anche al libro Soul Picnic: The Music and Passion of Laura Nyro di Michele Kort uscito nel 2003 riconoscere un debito verso Laura Nyro sono in tanti: oltre a Elton John anche Joni Mitchell, Kate Bush, Stevie Wonder, Todd Rundgren, Rickie Lee Jones, Donna Summer, Suzanne Vega, Narada Michael Walden. E cantautrici come Tori Amos, Fiona Apple o Amy Winehouse sarebbero inimmaginabili senza la sua influenza musicale. È il senso più autentico di ciò che chiamiamo eredità. Laura ci aveva pensato sin dalla sua prima canzone: E quando morirò, quando me ne sarò andata/ In questo mondo ci sarà/ un bimbo appena nato, che proseguirà.