Vogliamo ricordare la nostra cara collaboratrice e amica Maria Pellegrini che purtroppo ieri ci ha lasciato. Lo facciamo ripubblicando il suo ultimo articolo uscito su Left online il 27 ottobre 2022, una recensione al libro "Lo sguardo degli antichi" di Francesca Ghedini. Una ricerca su come sia evoluta nel tempo la narrazione greca e romana

Vogliamo ricordare la nostra cara collaboratrice e amica Maria Pellegrini che purtroppo ieri ci ha lasciato. Lo facciamo ripubblicando il suo ultimo articolo uscito su Left online il 27 ottobre 2022, una recensione al libro di Francesca Ghedini. Latinista, scrittrice, Maria Pellegrini è stata una stretta collaboratrice di Luca Canali e una grande e appassionata esperta di letteratura e storia dell’antica Roma, di cui ha approfondito soprattutto gli aspetti della condizione della donna, delle classi subalterne e della plebe. Temi che si ritrovano nel suo ultimo libro Da Arianna ad Agrippina. La donna greco-romana tra storia e mito (Futura libri, 2023)

Nel corso della sua vita di studiosa Francesca Ghedini, professoressa emerita di Archeologia classica dell’Università di Padova, si è occupata a lungo di iconografia con approfondimenti antropologici, sociologici e storico artistici. La sua attività di ricerca si è rivolta, fin dai primi anni, allo studio delle immagini come specchio della società che le ha prodotte. Il frutto del suo intenso lavoro è ora raccolto nel volume Lo sguardo degli antichi, con sottotitolo Il racconto nell’arte classica (Carocci editore, 2022, pgg.408, € 40,85).

Nell’indagare il rapporto fra parola e immagine Ghedini ha ricostruito quel percorso di progressive conquiste realizzate da artigiani e artisti dell’antichità greca e romana che, per suggerire allo spettatore eventi avvenuti, ricorrevano a immagini iconiche o narrative dalla forza comunicativa simile a quella della parola scritta o recitata.
Con le immagini iconiche si arriva all’identificazione del personaggio raffigurato attraverso una sua caratteristica fisica, una capigliatura o attributi che gli appartengono: una figura con un tridente richiama Poseidone, una fanciulla che tiene in mano delle spighe è Cerere.

Le immagini narrative invece mettono in scena una particolare situazione descritta nel momento in cui avviene o evocata in vario modo: un giovane che si specchia in una polla d’acqua è Narciso, la testa di un cinghiale ai piedi di un cacciatore ricorda Meleagro. Talvolta però, sottolinea Ghedini, «un solo indicatore non è sufficiente per rendere immediatamente riconoscibile la scena raffigurata: una fanciulla-albero potrebbe essere Dafne, ma anche Mirra o una delle sorelle di Fetonte». In questi casi è necessario inserire altri elementi di contesto per rendere comprensibile il soggetto.

La costruzione della narrazione attraverso le immagini deve attenersi a regole complesse che sono andate fissandosi nel corso dei secoli e fanno parte dell’immaginario collettivo. Presupposto necessario e indispensabile per raggiungere lo scopo, suggerisce Ghedini, «è la condivisione di un immaginario comune da parte di un pubblico che conosce i racconti epici e mitici, per averli sentiti narrare fin dall’infanzia, per aver ascoltato e ammirato gli aedi che deliziavano i conviti».

Vaso greco con l’immagine del cavallo di Troia, Museo di Mykonos

Nel mondo greco il gusto per il racconto non si afferma precocemente. Nel volume se ne ripercorrono le varie tappe fino all’improvviso manifestarsi di un gusto narrativo stimolato dalla tradizione epica. Nel Museo di Mykonos, isola delle Cicladi, troviamo un esempio illuminante di narrazione epica risalente al VII sec. a. C. Sul collo di un pithos è raffigurata l’immagine del cavallo di Troia, con la scena di conquista di una città dove guerrieri infieriscono su donne e fanciulli inermi.

È tuttavia la successiva produzione attica che ci consente di apprezzare appieno una nuova fase vitale e creativa. Famosi sono gli artisti del VI secolo a.C., Nearchos, Lydos e il Pittore di Amasis, che sembrano interpretare al meglio il nuovo clima culturale con l’abbandono delle tradizionali scene distribuite su fasce sovrapposte in favore di composizioni monosceniche: poche figure di grande formato consentono di rendere facilmente leggibili postura e gesti, così che le immagini realizzate sono spesso provviste di grande tensione narrativa, come la coppa del Pittore della Caccia, un ceramista greco il cui nome deriva dalla decorazione della caccia al cinghiale calidonio sul fondo della sua creazione, o come il frammento di un cantaro di Nearchos, in cui il pittore ha scelto di raffigurare il momento in cui Achille, solo con i suoi cavalli, ascolta la profezia che gli preannuncia il suo destino di morte (Iliade, XIX, 404-424).

L’apice di questa nuova sensibilità narrativa è raggiunto da Exechias, un ceramista attivo ad Atene nella metà del VI secolo a.C. La forza delle sue composizioni risiede nella maestosità delle figure che occupano l’intero spazio a disposizione, e nel numero ridotto dei personaggi, due nella famosa Coppa raffigurante l’accecamento di Polifemo situata a Parigi, nella Bibliothèque Nationale de France.

La firma del ceramista Exechias, Museo del Louvre

Se statue onorarie di personaggi illustri erano esposte ovunque nelle città, lungo le strade principali, nelle piazze, nei teatri, nelle palestre, il luogo in cui maggiormente si sbizzarriva la fantasia dei committenti erano le case private, dove, già nell’esterno, venivano realizzati eleganti affreschi o semplici schizzi, allusivi al ruolo rivestito dal proprietario. Gli interni erano interamente circondati da immagini di ogni genere, i pavimenti decorati con mosaici raffiguravano scene narrative mentre le pareti erano ricoperte di quadri, reali o riprodotti ad affresco, che rivelavano le molteplici e avvincenti avventure di dèi e dee, eroi ed eroine.

Per le immagini relative al mondo dei morti, numerose e di grande impatto sono le testimonianze provenienti da città etrusche dove si usava decorare le camere funerarie con affreschi ispirati per lo più a mettere in scena aspetti della vita quotidiana. La documentazione del mondo funerario romano si fa invece esigua e sfuggente a causa della grave perdita dei monumenti più antichi, ma restano le sculture dei sarcofagi e le iscrizioni che, rivolte ai frettolosi passanti, annotavano meriti e imprese del defunto, fornendo indicazioni circa l’età, la famiglia, il ruolo rivestito nella società o nella casa.

Non si deve sottovalutare l’importanza delle fonti letterarie utili per molteplici informazioni e notizie sugli artisti e le mode del tempo. Per lo storico dell’arte le citazioni occasionali rivestono un grande interesse perché permettono di condividere lo sguardo dei contemporanei, scoprire opere di cui non sono rimaste tracce oltre le citazioni di un autore. Ghedini porta ad esempio un passo di un poeta greco del III secolo a. C., Eronda, che ricorda di aver visto fra le numerose opere esposte nell’Asklepieion di Coo due quadri del pittore Apelle, di cui egli loda «la capacità di rendere le figure così aderenti al reale da ingannare l’occhio dello spettatore». Il poeta ha tramandato due informazioni, l’una sulla qualità dell’opera, l’altra circa la presenza di opere di un grande artista in un luogo sacro.

Lo sguardo degli antichi ha posto una scarsa attenzione alle raffigurazioni naturalistiche e Ghedini descrive il lungo dibattito su tale aspetto riportando il giudizio di Platone che nel dialogo Crizia considera «tali elementi non necessari» mentre «la centralità è per la figura umana» e nel Fedro afferma: «La campagna e gli alberi non consentono di imparare niente, diverso è il ruolo degli uomini della città».

Il testo, arricchito da una ricca bibliografia, note, indice di nomi e numerose fotografie delle opere d’arte citate, risponde ai principali temi dibattuti nell’ambito della lettura delle immagini analizzate nelle diverse categorie di composizione: monosceniche o plurisceiche, cicliche. Il lettore è portato a riflettere sull’impatto che l’insieme dei quadri che decorava una casa potesse avere sui frequentatori delle dimore che ne erano così riccamente ornate e sulla pluralità di suggestioni che potesse suscitare.
Il volume è anche un ottimo strumento per un approccio allo studio dell’iconografia e alla sua compiuta definizione disciplinare, divenuta, grazie a Erwin Panofsky, il ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto e del significato delle opere d’arte, in contrapposizione a quelli che sono i valori puramente formali.