«Stimati a 20,7 milioni nel 2000, negli ultimi due decenni il numero dei migranti forzati nel mondo è inesorabilmente quintuplicato, raggiungendo i 101,1 milioni a maggio del 2022, trainato dai grandi flussi di persone in fuga da varie aree del mondo, in particolare Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar e, non ultimo, Ucraina» spiega Antonio Ricci del Centro studi e ricerche Idos nell’appena uscito Dossier statistico immigrazione 2022, di cui giovedì 28 ottobre si è tenuta la presentazione al Nuovo teatro Orione di Roma.
Realizzato con i fondi otto per mille della Chiesa valdese e col sostegno dell’Istituto di Studi politici S. Pio V, il dossier, arrivato alla sua 32esima edizione, raccoglie contributi e ricerche di studiose e studiosi che hanno analizzato l’evoluzione e i dati dei fenomeni migratori nell’ultimo anno, fornendo un contesto internazionale ed europeo e facendo luce sulla situazione in Italia, tanto a livello nazionale quanto regionale.
«L’83% dei rifugiati – continua Ricci – è accolto in Paesi a reddito medio-basso e quasi i tre quarti (72%) vivono ora in uno dei Paesi confinanti col proprio Paese di origine». Alla fine del 2021, infatti, sarebbero solo 3,5 milioni i rifugiati e richiedenti asilo presenti nell’Unione Europea; tra questi ultimi i minorenni sono 183.720 (di cui 23.335 non accompagnati), con un rapporto di uno ogni tre richiedenti asilo. Ad aggravare le crisi alimentari e, di conseguenza, il numero dei migranti forzati, sono quelle che Francesco Petrelli di Oxfam Italia definisce le “tre C”: conflitti (nel 2022 l’Italia ha accolto 154mila profughi ucraini, in nove casi su dieci ospitati da connazionali, privati cittadini o enti del Terzo settore), clima (solo nel 2021 si sono registrati 24 milioni di rifugiati climatici, con una previsione di oltre 216 milioni di migranti nei prossimi trent’anni) e Covid-19.
La cifra dei residenti stranieri nell’Unione Europea nel 2021 si attesta a 37,4 milioni, concentrati per il 70% nei quattro maggiori Paesi di immigrazione comunitaria: Germania (10,6 milioni), Spagna (5,4 milioni), Francia (poco più di 5,2 milioni) e Italia (poco meno di 5,2 milioni). In Italia essi incidono per poco meno del 9% sulla popolazione complessiva, e sono per quasi il 50% europei, oltre la metà dei quali comunitari, seguiti con quote di oltre il 20% ciascuno da asiatici e africani, mentre gli americani sono uno ogni tredici.
Il dossier indaga anche la situazione occupazionale degli stranieri in Italia: il loro inserimento lavorativo obbedisce, da decenni ormai, «a un modello di segregazione lavorativa che li canalizza rigidamente verso professioni meno qualificate, più precarie, meno retribuite e più pericolose, con una scarsissima mobilità occupazionale anche per chi possiede una formazione superiore e molti anni di attività». Le più penalizzate sono le donne, che incidono per solo il 42,1% tra gli occupati e per ben il 52,5% tra i disoccupati. Uno dei dati più significativi, a tal proposito, è quello sulle inchieste giudiziarie contro lo sfruttamento lavorativo che, nell’81% dei 391 casi con nazionalità certa delle vittime registrati nel 2021, hanno riguardato proprio lavoratori stranieri, soprattutto richiedenti asilo.
«Dietro i numeri ci sono le persone» ha affermato Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia di cooperazione Habeshia, durante il suo intervento alla presentazione del dossier. E tuttavia lo stesso Zerai, in collegamento dal Canada, ha ribadito l’importanza dei dati, citando uno studio dell’Istituto Cattaneo secondo cui gli italiani avrebbero una percezione moltiplicata del numero di immigrati, soprattutto i cosiddetti irregolari, presenti sul territorio nazionale. «Isteria ideologico-mediatica» la definisce Luigi Gaffuri, professore di Geografia urbana e regionale all’Università dell’Aquila, aggiungendo poi che l’uso strumentale dei fenomeni migratori, da parte di cittadini e talora istituzioni politiche, presuppone «la volontà di ignorare le rigorose analisi» messe a disposizione sull’argomento.
È quindi dai dati che prendono le mosse gli interventi di relatrici e relatori durante la presentazione: Luca Di Sciullo, presidente dell’Idos, ha ripercorso gli eventi che hanno contribuito, a livello globale, ad aggravare la «crisi dei migranti» che dovrebbe essere definita piuttosto «la crisi dell’Europa davanti alla questione dei migranti».
«L’Unione europea ha messo in atto politiche di respingimento e di espulsione violente lungo rotte marittime e terrestri, dentro e anche fuori dai confini comunitari, pagando miliardi di euro a Turchia, Bosnia, Libia ed altri Stati confinanti e rendendosi così ricattabile, di fatto venendo ricattata, da tutti loro. Purché a suon di bastonate, di bruciature, di denudamenti, di docce gelide, di torture, di stupri e tutta una serie di altre brutali aggressioni, ricaccino i migranti indietro e li tengano bloccati nei campi di detenzione forzata» ha aggiunto Di Sciullo. E quando il presidente dell’Idos ha menzionato l’imminente rinnovo, che avverrà automaticamente il 2 novembre, del Memorandum d’intesa Italia-Libia, dalla platea qualcuno ha gridato «Vergogna!», immediatamente seguito da un applauso.
Molti i temi toccati durante gli altri interventi: dai riferimenti alla nuova condizione di “migranti climatici” a cui hanno accennato Alessandra Trotta, moderatora della Tavola Valedese e Paolo De Nardis, presidente dell’Istituto di Studi politici S. Pio V, all’impossibile mobilità sociale per i giovani e le giovani stranieri, che spesso si rassegnano a percorsi di studio tecnici e professionali, ritenendo di non poter competere per professioni altamente qualificate, alla situazione di lavoro sommerso a cui spesso sono costrette le persone straniere, vulnerabili a causa del loro status giuridico incerto e irregolare.
A tale proposito la sintesi di Djarah Kan, scrittrice e giornalista, secondo cui «non ci si può meritare la cittadinanza» (con buona pace del neonato ministero dell’Istruzione e del merito), ha sottolineato la situazione dei giovani nati e cresciuti nel nostro Paese e ad oggi privati della cittadinanza italiana a causa della mancata riforma della legge n. 91 del 1992, di cui quest’anno ricorre il trentesimo anniversario
* In foto, alcuni migranti camminano sui binari della ferrovia nei pressi del confine tra Serbia e Ungheria, sulla “rotta balcanica”