Come mai il papa non prende posizione contro un regime che uccide le donne a bastonate?

Correva l’anno 2009 e l’ambasciatore dell’Iran presso la Santa Sede, nel momento in cui si presentava per essere accreditato, richiamava gli obiettivi comuni e condivisi tra la Santa Sede e la Repubblica Islamica dell’Iran, ovvero la comune lotta all’ateismo e ai mali morali.
Il Vaticano incassava con giubilo questo richiamo agli obiettivi comuni e confermava l’accredito dell’ambasciatore.
Quando nel 2016 Hassan Rouhani si è recato in Vaticano, il testo ufficiale concordato al termine del colloquio con Bergoglio, ancora una volta richiamava i valori comuni, sempre gli stessi, ovvero la comune lotta all’ateismo e ai mali morali.
Nel corso dei colloqui, Bergoglio e Rouhani avevano ricordato la strage di Charlie Hebdo del 2015, quando le vignette satiriche avevano scatenato un gruppo di islamici animati dal senso di vendetta contro chi aveva offeso il loro Dio, uccidendo 12 persone e ferendone 11.
In quel colloquio Bergoglio riferì a Rouhani quale era stato il suo commento, con una nota di vanto, lucidamente ripetendo che se qualcuno gli avesse offeso la madre, lui avrebbe tranquillamente reagito sferrando un pugno, legittimando così eticamente l’azione violenta e stragista islamica quale reazione alla satira.
Dunque non una risposta a caldo sfuggita nel corso di una intervista, ma a distanza di un anno una ipotesi di reazione ponderata e autenticamente propugnata.
In Iran c’è un regime teocratico.
In Vaticano c’è un regime teocratico.
Il regime teocratico iraniano coincide con i confini dell’Iran.
Il regime teocratico Vaticano non coincide con i confini del Vaticano ma con i confini dell’Italia, perché nella visione politica di Bergoglio le caste sacerdotali non devono governare direttamente, l’importante è che condizionino le istituzioni civili, come fa lui con il parlamento e il governo italiano.
Bergoglio, in effetti, quando ha pianificato i colloqui con l’islam sciita non è andato ad incontrare un ayatollah al potere in Iran, ma è andato ad incontrare in Iraq lo sciita iraniano Al-Sistani, colui che rappresenta quella corrente dello sciismo che ritiene che andare al potere significhi tradire la visione teologica ed escatologica dello sciismo.
In effetti Bergoglio voleva mandare un messaggio trasversale alle caste sacerdotali iraniane riaffermando il primato planetario vincente della gestione vaticana del potere, una gestione mediata dalle istituzioni civili, e non diretta, come quella degli ayatollah.
Resta comunque un dato comune, ovvero che entrambi i regimi teocratici hanno la pretesa di governare in nome del loro Dio, in una spirale oppressiva che si arroga lo scopo di sovvertire ogni libertà, ogni aspetto delle vite private, corrompendo la politica e le istituzioni.
In Iran il regime teocratico, per preservare il potere, è diventato un regime omicida.
Il prezzo di vite umane spezzate dalla mano assassina del regime è una ferita che travalica i confini di quella Nazione, in una solidarietà naturale che ripudia la follia dell’apartheid femminile.
Donne uccise a bastonate perché non portavano il velo è quanto di più raccapricciante potesse fare quel regime religioso, un regime che si ispira ai valori condivisi dal Vaticano.
Contro queste nefandezze un autentico movimento rivoluzionario sta minando quel sistema osceno di oppressione, mentre Bergoglio, che è pronto a sferrare pugni se gli offendono la madre, in relazione alle donne uccise a bastonate perché non portavano il velo, si è espresso dicendo la solita banalità ad uso dei filoclericali, ovvero che la donna «non è un cagnolino».
Ora questa immensa insulsaggine, ossia che la donna non è un cagnolino, dovrebbe destare indignazione per pochezza e superficialità.
E invece no, c’è perfino chi ne dà una lettura consolatoria e si spinge a ritenere che di più non avrebbe potuto dire.
In effetti il teocratico papa Francesco insulta e offende senza ritegno le donne che si autodeterminano, esprime valutazioni politiche su tutte le questioni internazionali, ma si guarda bene dal prendere posizione contro un regime che uccide le donne a bastonate e che condanna a morte chi si ribella allo scempio, perché con quel regime, pur nella diversa visione della gestione del potere, si rinnovano affettuosamente e cordialmente gli stessi valori da decenni.

L’autrice: L’avvocata Carla Corsetti è segretaria nazionale di Democrazia atea