La premier Giorgia Meloni nel presentare in conferenza stampa la sua prima manovra economica e di bilancio ha parlato di “manovra coraggiosa”. Ho letto con attenzione le decisioni prese dal governo e tutto – per la verità – si può dire tranne che abbiano agito con coraggio.
In primo luogo non c’è nel primo atto fondamentale del governo una visione di Paese su cui indirizzare l’azione economica immediata e quella programmatica. Certo, l’esecutivo si è trovato con una manovra in corsa e in una situazione difficile di congiuntura nazionale ed internazionale, ma tutto questo era ben noto così come è da ricordare che nei momenti di crisi si vede se sussiste la competenza, la capacità politica, il coraggio.
Il governo non sceglie, se non di punire i poveri per dare un flebile segnale al suo elettorato. Ma si tratta di un piccolo sibilo che si disperde nell’assordante silenzio del nulla messo in campo.
Andiamo con ordine: si cancella il reddito di cittadinanza, con tifo da stadio dei peones governativi. Misura sicuramente perfezionabile avendone sperimentato anche i suoi limiti in questi anni, ma sicuramente la sua cancellazione è atto odioso nei confronti dei più fragili e provoca l’innalzamento della tensione sociale. Un errore anche politico gettare micce incendiarie economiche e sociali su una polveriera di drammi e disagi, soprattutto al Sud. Non si tassano, poi, in maniera seria ed adeguata gli extra profitti delle grandi multinazionali che hanno lucrato sulla speculazione economico-finanziaria dei mercati drogati del gas e dell’energia. Un governo che non ha più nulla della destra sociale di un tempo che avrebbe forse non solo dato un segnale contro i più ricchi in favore dei ceti popolari ma avrebbe almeno ipotizzato la nazionalizzazione di questi beni comuni. Invece, qualora ancora qualcuno nutrisse dubbi, questo è un governo neoliberista in perfetta continuità sul piano economico-finanziario con il governo Draghi. L’apoteosi dei poteri forti al comando.
Non vengono emesse misure per adeguare seriamente pensioni e salari all’inflazione e quindi intervenendo sul potere di acquisto del popolo italiano. C’è qualche mancetta elettorale, come il piccolo, quasi impercettibile, taglio al cuneo fiscale e la tassa piatta, e poi qualche segnale anche eticamente discutibile come l’innalzamento al tetto del contante. Nulla di efficace per incentivare la classe imprenditoriale ad investire ed assumere forza lavoro, nulla di percettibile sul piano degli investimenti pubblici.
Questo governo non è nemmeno sovranista, oltre ad essere scarsamente competente sul piano giuridico ed economico. Altrimenti avrebbe dato immediati segnali all’Europa con una manovra costituzionalmente orientata che avrebbe messo al centro l’Italia e i diritti essenziali negati della gente. Ed invece siamo in perfetta continuità con i diktat europei fatti di vincoli finanziari e gabbie giuridiche. Salvo poi trovare un fiume di denaro pubblico quando si tratta di armi ed industria bellica, quest’ultima tanto cara a questo governo come anche al principale partito dell’apparente opposizione.
La presidente Meloni, quindi, da un lato è con il capo chino nei confronti del patto atlantico e della Nato, confermando, qualora qualcuno avesse dubbi, la loro subalternità che mi pare essere il contrario dell’autonomia e della sovranità. Una cosa è essere amici ed alleati, un’altra è essere subalterni. Poi ha rassicurato l’Europa e le sue lobbies che lei non è una donna di destra ribelle, ma una brava scolara politica che ha recepito e condiviso i dogmi neoliberisti del capitalismo predatorio. Una manovra economica, quindi, fatta di toppe, pannicelli caldi, pezze color nero sbiadito, trucchi e parrucchi da post campagna elettorale.
Il collante che per ora tiene insieme la baracca dell’esecutivo, con Calenda e Renzi che sbavano per dare subito più di una mano, è l’ideologismo, nemmeno più l’ideologia, della destra autoritaria e machista con i deboli: decreto-legge contro il diritto di manifestare (presentato come decreto “anti rave”, ndr), il decreto interministeriale contro i migranti soccorsi in mare, la scuola “di classe”, l’autonomia differenziata. Il tutto condito da un po’ di simbolismo neofascista con qualche busto, qua e là braccia tese verso l’alto, Predappio e Mussolini, e anche qualche svastichetta magari provvisoriamente nascosta nel cassetto.
Insomma finora confusione giuridica, autoritarismo incostituzionale, rivendicazione di una matrice certamente non antifascista, genuflessione ai poteri forti, continuità con il draghismo. Tutto cambia per non cambiare nulla. Tocca invece cambiare il modo di fare opposizione e costruire rapidamente l’alternativa ad una politica rimasta senza ossigeno.
* L’autore: giurista e saggista, dopo molti anni di lavoro da magistrato e da sindaco di Napoli Luigi de Magistris oggi guida l’Unione popolare
In foto: la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini