L'ex presidente è morto a 96 anni. Fu lui a scegliere l’odierno leader della Rpc, Xi Jinping, in base al sistema gedai zhiding, per cui ogni leader può nominare il proprio erede a distanza di due generazioni

«È stato un grande marxista, un grande rivoluzionario proletario, statista, stratega militare e diplomatico, un combattente comunista di lunga data e un leader eccezionale per la causa del socialismo con caratteristiche cinesi». Con queste parole il Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc) ha annunciato, tramite una nota diffusa dall’agenzia di stampa cinese Xinhua, la morte di Jiang Zemin, ex presidente della Repubblica popolare cinese (Rpc), segretario generale del Pcc e presidente della Commissione militare centrale.

Jiang Zemin si è spento il 30 novembre all’età di 96 anni, nella sua abitazione di Shanghai, a causa di una leucemia e di un’insufficienza multiorgano. 

La nota indirizzata a tutti i componenti del Partito, alle forze militari e a tutti i gruppi etnici del popolo cinese reca la firma anche del Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo della Rpc, del Comitato nazionale della Conferenza politica consultiva del popolo cinese e delle Commissioni militari centrali del Pcc e della Rpc. 

«Il compagno Jiang Zemin – si legge ancora nel dispaccio – è stato il nucleo della leadership collettiva centrale della terza generazione e il principale fondatore del Pensiero delle tre rappresentatività». 

L’annuncio della morte di Jiang Zemin arriva ad un mese dalla conclusione del XX Congresso del Pcc, le cui immagini, soprattutto quelle dell’allontanamento dell’ex presidente Hu Jintao dalla Grande Sala del Popolo, probabilmente affetto da demenza senile, hanno colpito gli osservatori internazionali. Il trattamento riservato a Hu, insieme al terzo mandato di Xi Jinping, che ha messo fine alla norma dei due mandati in uso dall’epoca di Deng Xiaoping, avevano già mostrato un cambiamento epocale nel Regno di Mezzo: la morte dell’ex leader sembra esserne una conferma. 

Jiang si affermò sulla scena politica cinese poco dopo le riforme di mercato di Deng Xiaoping, con la nomina a ministro dell’industria elettronica nel 1983, a sindaco di Shanghai nel 1985 e a membro del Comitato Centrale del Pcc nel 1987. Fu però il 1989 ad imprimere una svolta nella sua carriera: a causa delle manifestazioni di piazza Tian’anmen, infatti, il segretario generale del Partito Zhao Ziyang, considerato troppo indulgente verso i manifestanti, fu epurato (e tenuto agli arresti domiciliari fino alla morte, nel 2005); al suo posto Deng Xiaoping in persona volle Jiang Zemin, allora Segretario del Pcc a Shanghai, ritenendo che fosse il candidato ideale in quanto non appartenente a nessuna fazione interna al Partito. 

Dopo la repressione di Tian’anmen, Jiang Zemin, considerato inizialmente solo un leader di passaggio, consolidò rapidamente la sua base di potere: promosse molti dei suoi fedelissimi, appartenenti alla cosiddetta “cricca di Shanghai” (Shanghai ban in cinese), a membri dell’organo governativo più potente dello Stato, il Comitato permanente del politburo. Nel 1993 divenne presidente della Rpc; appena un anno prima aveva coniato l’espressione «economia socialista di mercato», che proponeva, in linea con il «socialismo con caratteristiche cinesi» di Deng Xiaoping, una soluzione alla contrapposizione ideologica tra economia pianificata ed economia di mercato attraverso un’integrazione delle due. In questo modo, Jiang Zemin procedette spedito con le riforme economiche nel Paese, tralasciando, tuttavia, le riforme politiche. 

Sotto la leadership di Jiang Zemin, la Cina ha affrontato alcuni dei suoi momenti cruciali: dalla repressione del movimento spirituale dei Falun Gong, alla terza crisi dello stretto di Taiwan, al ritorno di Hong Kong e Macao alla Rpc. Prima di cedere la carica di presidente della Repubblica al successore Hu Jintao nel 2003, inoltre, Jiang Zemin ha potuto assistere all’ingresso storico della Cina nell’Organizzazione mondiale del commercio, avvenuto nel 2001.

Anche dopo aver lasciato tutte le cariche (l’ultima, quella di presidente della Commissione militare centrale, nel 2004), Jiang Zemin continuò ad esercitare la sua influenza nel Paese: ha sempre conservato un ufficio al quartier generale delle forze armate, con accesso a documenti militari riservati, e ha criticato negativamente la politica di Hu Jintao relativa alle rivolte in Tibet del marzo 2008 e nel Xinjiang del luglio 2009. Nel febbraio 2010 ha pubblicato Cronologia del pensiero di Jiang Zemin (1989-2008), volume che raccoglie discorsi, interviste e saggi dal luglio 1989 a novembre 2008, in cui viene associato apertamente, per la prima volta, «l’importante Pensiero delle tre rappresentatività» al suo nome, in quanto “pensiero di Jiang Zemin”, elevando così ulteriormente il suo status nel pantheon politico cinese. Ma, soprattutto, è stato Jiang Zemin a scegliere l’odierno leader della Rpc, Xi Jinping, in base al sistema gedai zhiding, per cui ogni leader può nominare il proprio erede a distanza di due generazioni (lo stesso era accaduto per Deng Xiaoping, che aveva scelto Hu Jintao). 

Oggi persino i siti dei maggiori quotidiani cinesi sono in lutto: le homepage completamente in bianco e nero dimostrano il rispetto e la stima di cui godeva l’ex leader cinese. Eppure è impossibile non notare come, a distanza di più di trent’anni, Jiang Zemin abbia lasciato la Cina in un clima simile a quello in cui l’aveva trovata: investita da proteste, soprattutto di giovani universitari e universitarie, che chiedono libertà.