Tre migranti sono partiti dalla Nigeria e arrivati in Spagna viaggiando per undici giorni sul timone di una petroliera. La vicenda ha guadagnato le prime pagine e stimolato una maggiore empatia rispetto ad altre storie di migrazione, che però quasi sempre sono altrettanto drammatiche

Questa mattina fioccano gli articoli dei tre migranti che per 11 giorni hanno percorso 2.700 miglia nautiche aggrappati al timone di un’enorme petroliera. “Quando il Servizio di soccorso marittimo spagnolo li ha salvati, i tre uomini, probabilmente di origine senegalese, erano disidratati e indeboliti. Sono stati trasferiti negli ospedali di Las Palmas, sull’isola di Gran Canaria, per ricevere assistenza medica”, scrivono i comunicati ufficiali, riportati praticamente dappertutto.

Si tratta di una nave partita da Lagos, in Nigeria, il 17 novembre arrivata lunedì a Las Palmas. La foto dei tre rintanati in un pertugio che sarebbe stato una trappola mortale in caso di mare mosso riportano alla memoria le notizie simili di novembre del 2020 quando quattro persone erano state trovate aggrappate al timone della Ocean princess e nel mese precedente dello stesso anno altri quattro sulla petroliera Champion pula.

È normale che chiunque sia dotato di un minimo di empatia, al di là delle posizioni politiche personali, non possa non solidarizzare con quei tre poveri disperati che hanno sfidato una morte quasi certa pur di sperare in un porto. Avere a corredo della notizia una foto perfetta per aprire i giornali, i siti e i servizi giornalistici aumenta la golosità dell’episodio.

Eppure non sono meno disidratati, meno violentati, meno impauriti, meno sopravvissuti e meno disperati quelli che arrivano in Europa in altre rotte. Non sono barche ma spesso sono bare galleggianti i barchini che in scioltezza facciamo accalappiare in mezzo al Mediterraneo dalla cosiddetta Guardia costiera libica. Hanno addosso una simile traversata mortale quelli che con fastidio e con poca contezza delle proporzioni vengono bollati come fastidiosi invasori. Superano la morte per il gelo quelli che arrivano dalla rotta balcanica.

Non c’è un supplizio superiore che si deve attraversare per meritare salvezza e libertà. Se avessimo voglia di guardare (e di mostrare) le immagini degli strazi sulle rotte che l’Europa finge di non vedere avremmo lo stesso vertiginoso turbamento che proviamo di fronte ai tre sul timone della petroliera. Compiere l’errore di essere ospitali in modo direttamente proporzionale con la tortura subita significa trasformare i diritti in privilegi. E, come diceva Gino Strada, i diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini sennò chiamateli privilegi.

Buon mercoledì.

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.