«Il 4 febbraio 1977 fui sequestrata mentre ero a casa mia. Mi caricarono su un’auto. Appena girò l’angolo, mi misero un maglione sulla testa, mi buttarono per terra e mi calpestarono. Poi iniziarono a dirmi che mi avrebbero ucciso. Mi fecero scendere, mi tolsero il maglione, mi misero una benda sugli occhi e mi ammanettarono. Io in quel periodo ero incinta di sei mesi e mezzo, quindi già piuttosto in là con la gravidanza. Mi torturarono, nonostante la mia condizione. Mi tennero rinchiusa per mesi. Le torture erano sistematiche, costanti, di ogni tipo».
Santiago Mitre sceglie questa testimonianza di Adriana Calvo De Laborde, fisica, professoressa universitaria e ricercatrice, rapita durante la dittatura militare argentina, per raccontare uno dei capitoli più bui della storia della violazione dei diritti umani.
Argentina, 1985 in concorso per il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno e disponibile per gli abbonati alla piattaforma Prime Video, racconta lo storico processo civile intentato alla giunta dell’ex presidente Jorge Rafael Videla, Emilio Eduardo Massera e ai principali esponenti del regime militare argentino. Un’occasione per condannare i crimini contro l’umanità perpetrati dalla dittatura e di favorire la continuità della democrazia.
L’opera di Mitre è cauta e accessibile nella sua ricostruzione storica: nell’incipit, delle sintetiche didascalie delineano il contesto politico, in modo che tutti gli spettatori possano confrontarsi con quella che è una tragica parentesi storica, spesso dimenticata: la Guerra Sporca dell’Argentina sotto il regime militare al potere dal 1976 al 1983, che vide il rapimento, la tortura, la sparizione forzata di circa 30mila civili, per eliminare qualunque forma di protesta e dissidenza nell’ambiente culturale, politico, sociale del Paese.
Il film è ambientato nel 1985: ai tempi il regista aveva solamente 5 anni, era quindi coetaneo di quei bambini scomparsi, che sarebbero stati rivendicati dall’associazione delle Madri di Plaza de Mayo. Per Mitre diventa fondamentale ricostruire quel momento storico, di cui avrebbe per sempre, inevitabilmente subito il peso.
Il film si apre poco prima che il procuratore Julio César Strassera, interpretato da un ineccepibile Ricardo Darín, riceva tra le mani la notifica che gli comunica che il processo ai comandanti dell’esercito per le atrocità commesse durante la dittatura militare si svolgerà. Sono trascorsi due anni dall’avvento di una democrazia ancora debole e corrotta: i militari sconfitti continuano a esercitare purtroppo una profonda influenza nelle alte sfere del governo.
Argentina, 1985 sceglie di raccontare la storia di un uomo mosso dal desiderio di giustizia ma spaventato all’idea che la sua famiglia, continuamente vessata da minacce, possa subire ritorsioni. Il film si articola, convenzionalmente, attraverso le diverse fasi del processo. Ma l’occhio del regista si divide tra lo spazio dell’aula del tribunale e le mura di casa di Strassera. In questo modo, spesso, dei momenti di leggerezza della vita quotidiana riescono a spezzare la tensione. La risata diviene strumento indispensabile per esorcizzare la paura e il senso di impotenza che spesso gravano sui protagonisti, che non sono idealizzati e costruiti come figure eroiche, ma rappresentati come semplici uomini e donne.
Il nuovo presidente Raúl Alfonsín è riluttante nel sostenere una condanna al vecchio regime e Strassera ha solo pochi mesi per raccogliere le prove necessarie a dimostrare la colpevolezza degli imputati e lavorare a un processo senza precedenti, la più grande azione penale per crimini di guerra dai processi di Norimberga: ad aiutarlo saranno l’assistente Luis Moreno Ocampo (Juan Pedro Lanzani) e un gruppo di giovani neolaureati in giurisprudenza.
Combinando cinema di finzione e rigore documentaristico il dramma procedurale raccontato da Mitre trova espressione nelle testimonianze delle vittime di torture e dei familiari dei desaparecidos, troppo a lungo rimasti inascoltati.
L’intelligenza di Argentina, 1985 è proprio nel suo taglio mainstream, quasi televisivo, nei tempi veloci, nella sua estrema leggerezza nel saper condensare una battaglia così dura e drammatica. È proprio questa impostazione a rendere potente il film di Mitre: un’opera popolare, che non vuole commuovere ma restituire con autenticità la testimonianza degli orrori e delle violenze della dittatura, per renderci consapevoli e saper guardare avanti, senza dimenticare. Nunca más.