Una riflessione sul percorso del movimento e sulle nuove forme di organizzazione, le più articolate possibili, che si possono inventare (o re-inventare)

Nel dibattito, spontaneo e ricco, che si è sviluppato dopo la sconfitta elettorale sono emerse due conclusioni che a me paiono molto importanti: a mio avviso l’Unione popolare deve continuare a vivere, perché il risultato negativo delle elezioni a cui siamo stati costretti (con una legge elettorale infame, senza soldi, ferreamente censurati dai media, senza i tempi necessari per farci conoscere, etc.) non può essere letto come una smentita del progetto. Ma c’è una seconda considerazione da fare: nessuna delle forze che hanno dato vita all’Unione popolare si deve sciogliere, anzi (sperando che a quelle forze se ne aggiungano molte altre) occorre che ciascuna sviluppi al massimo, anche nelle differenze, le potenzialità del proprio radicamento sociale.

Da queste due affermazioni ne consegue logicamente una terza, cioè che Unione popolare si deve organizzare, ma organizzare in una forma che non sia quella tradizionale di un partito, organizzare in modo creativo, democratico e dal basso, magari recuperando la lezione di tante esperienze del movimento operaio e democratico che non sono affatto tutte riconducibili al “modello tedesco” (vincente del Novecento), cioè al binomio limitativo partito/politica + sindacato/economia.

Penso, ad esempio (per citare il passato), all’elaborazione di Osvaldo Gnocchi-Viani (1837-1917) riproposta ai tempi nostri da Pino Ferraris; penso al “partito sociale”, aperto al mutualismo e al federalismo, un’organizzazione articolata, decentrata, federativa, comprensiva accanto ai luoghi di lotte economiche e sociali anche di luoghi di elaborazione culturale e di studio, tutti con pari dignità e poteri; penso ai Cobas e al sindacalismo di base, alle verità interne (preziose anche se insufficienti) dell’anarchismo o del “modello belga” di partito; penso alle case del popolo, alle lezioni di democrazia diretta e assembleare (troppo presto abbandonate) dei movimenti del femminismo. Ripensare, sperimentare, creare queste nuove forme di organizzazione rivoluzionaria facendone il corpo vivo di Unione popolare è un compito difficile, ma necessario e urgente, e può essere anche un compito entusiasmante per una nuova generazione.

Si tratta di inventare (o forse: re-inventare) un modello di organizzazione politica rivoluzionaria che assuma e pratichi fin da subito l’obiettivo di ridurre al minimo (o abolire) la verticalità, la gerarchia, il maschilismo e il centralismo (da cui nascono continuamente le tre belve del burocratismo dell’istituzionalismo, del correntismo), e valorizzi invece l’autonomia politica operativa di ogni istanza di base. L’importante (come ci insegna Luigi Ferrajoli) è che l’organizzazione rivoluzionaria sia del tutto separata dallo Stato e che non tenda neppure a somigliargli, a essergli simmetrica, come è accaduto coi partiti tradizionali.

Sono convinto ad esempio che non abbia alcun senso che ogni istanza dell’organizzazione debba essere onnicomprensiva e (fingere di) occuparsi di tutto, perché la politica, tutta la politica, sta in una mobilitazione pacifista come in un comitato di fabbrica, in una lotta di disoccupati come in un collettivo di scuola, in una lotta per l’ambiente come in un giornale o in un momento di auto-formazione del movimento, e così via. E ha meno senso ancora che un’istanza di base dell’organizzazione per fare politica fra le masse debba dipendere da qualche autorizzazione gerarchica e verticale. Se, e quando, i vertici dell’organizzazione ci saranno, essi dovranno dimostrare in pratica la loro utilità per il lavoro politico di base.
Solo se sarà capace di essere un simile originale modello di organizzazione politica, tutto da inventare e definire, Up non entrerà in contrasto con i partiti esistenti che l’hanno costituita (i quali, come ha dimostrato l’esperienza elettorale, restano necessari e insostituibili) e potrà – è ciò che più conta – diventare attrattiva verso le nuove generazioni alle quali, dobbiamo riconoscerlo francamente, il modello di partito che abbiamo conosciuto e praticato ha ben poco da offrire.

La rivoluzione ha bisogno di essere di nuovo pronunciata (e che Up faccia questo rappresenta già un buon inizio!) ma soprattutto essa ha bisogno fin d’ora, senza rimandare a chissà quale “dopo”, di vivere già nelle concrete forme di esistenza quotidiana dell’organizzazione rivoluzionaria.

Nella foto: apertura della campagna elettorale di Unione popolare, Milano, 25 agosto 2022