Questa modifica dell’ordinamento giudiziario delinea un magistrato sempre più burocrate, conformista, impaurito, più attento alla forma e al formalismo che a provare a rendere giustizia secondo legge e Costituzione

L’ennesima pessima riforma sulla giustizia porta il nome di chi l’ha proposta: l’ex ministro della giustizia Marta Cartabia del governo Draghi, autoproclamatosi “governo dei migliori” per volontà dei poteri forti mediatico-finanziari. Poi dimostratosi un governo mediocre per gli interessi del popolo. Quando è stata approvata la riforma, sull’onda dell’affaire Palamara, però, pochi l’hanno analizzata e criticata con la giusta profondità, perché fu deliberata da un governo la cui maggioranza era composta da quasi tutti i partiti del sistema. E quindi anche i vari poteri mediatici di riferimento, in particolare della carta stampata, sono stati zitti e buoni. Ora con il governo delle destre e con un’apparente opposizione parlamentare si assiste ad un riposizionamento dei poteri del Paese: dalla guerra all’autonomia differenziata, dalla giustizia ai temi del lavoro e dell’economia. La politica delle finte contrapposizioni che poi trova, in genere, l’accordo e la sintesi nell’iceberg sistemico che è la spesa pubblica (oggi soprattutto Pnrr, dove si consumano le trattative più sporche). Il partito unico del denaro pubblico dove in genere si trova la quadra perché è il cemento dei rapporti più opachi del nostro Paese. Ritorniamo alla giustizia, che con questo governo e questa maggioranza vivrà giorni ancora più bui, con il “redde rationem” che si sta avvicinando.

La Cartabia, così come fece il ministro della giustizia Mastella nel governo Prodi, modifica l’ordinamento giudiziario in modo tale da delineare un magistrato sempre più burocrate, conformista, impaurito, più attento alla forma e al formalismo che a provare a rendere giustizia secondo legge e Costituzione. Valutazioni e controlli della professionalità che non puntano ad un magistrato più preparato ed equilibrato, ma conformista, più prono alle gerarchie giudiziarie e ai rapporti sempre meno trasparenti tra alcuni capi degli uffici ed il sistema istituzionale extra-giudiziario. Il Palamaragate invece di essere stato da lezione per ritornare al potere diffuso della magistratura, ossia all’autonomia ed indipendenza dei singoli magistrati, ha spinto la politica, che non vuole una magistratura che amministra in nome del popolo come sancisce la Costituzione a verticalizzare ancora di più il sistema giudiziario. Il potere in poche mani è anche un potere più controllabile. Così che pochi capi degli uffici, in un silenzio diffuso della stampa e dei media, selezionano anche le notizie meritevoli di essere conosciute dalla popolazione. Con buona pace del diritto di cronaca. Meno il popolo conosce più il Sistema si rafforza.

La Cartabia nulla fa, poi, per intervenire efficacemente su custodia cautelare, carceri e certezza della pena ed anzi elimina anche strumenti efficaci nella ricerca della giustizia e della verità. Pensiamo al dibattito degli ultimi giorni su alcuni delitti di mafia in cui è stata prevista la perseguibilità a querela di parte. Non ci vuole un addetto ai lavori per comprendere che, non di rado, le vittime di delitti mafiosi non hanno lo stato d’animo e la libertà per poter agire senza paura e anche subendo la pressione e la minaccia della mafia. Sulle carceri non si è affrontato il tema delle strutture carcerarie e della funzione rieducativa della pena. Anche nel rapporto tra custodia cautelare e certezza della pena non si è inciso. Continua ad esserci un eccesso di custodia cautelare e allo stesso tempo non vi è certezza della pena, con migliaia di persone condannate in via definitiva che sono libere e non in carcere, pur essendo state ritenute responsabili. Molto poco è stato fatto per ridurre il peso della degenerazione correntizia e, quindi, per spezzare il legame tra magistratura e politica. Poi esiste un tema di cui poco si parla e non attiene più solo alla politica ma anche allo stesso ordine giudiziario. Il calo della credibilità e della fiducia nella magistratura. Il mio osservatorio privilegiato, avendo fatto il magistrato e l’uomo delle istituzioni e poi della politica sempre in prima linea, mi ha fatto riscontrare un sentimento sempre più diffuso tra le persone perbene: la paura nel sistema giudiziario e la mancanza di affidabilità sotto il profilo dell’autonomia e della indipendenza di strati non residuali della magistratura. Se si arriva al punto che le persone oneste hanno paura dei magistrati e del sistema giudiziario nel suo complesso e i criminali allo stesso tempo pensano sempre più di farla franca, allora c’è più di qualcosa che non funziona e c’è da preoccuparsi non poco. Non è solo la mancanza di certezza della pena, la lungaggine dei processi, il tema della prescrizione.

Quando la politica spegneva la fiducia delle persone oneste si confidava molto nella stampa libera e nell’indipendenza della magistratura. Oggi questa sensazione si è notevolmente affievolita. Ogni partito e leader politico ha almeno un giornale di riferimento. La magistratura non viene più percepita sempre come l’arbitro imparziale, ma pezzi della categoria come soggetti che giocano la partita dalla parte del Sistema contro chi osa non allinearsi. Non è più sufficiente la credibilità e la coerenza di alcuni politici o di diversi magistrati per salvare la situazione, le mele marce purtroppo sono divenute nel frattempo un frutteto avvelenato. Il popolo assorbe questo veleno democratico e, disorientato, si avvilisce, si deprime. Anche qui è, come sempre, un tema di questione morale. L’etica, la morale, l’onestà, la libertà, l’autonomia, l’indipendenza, la competenza, il coraggio e la dedizione non si comprano al mercato. Sono valori che fanno la democrazia. Oggi un disegno eversivo silenzioso che veste i panni della legalità formale sta avvelenando la democrazia e l’indifferenza quasi generale sta producendo una bomba letale per gli equilibri stessi della nostra Repubblica.