Nel lager si entra «in silenzio, laicamente, a testa bassa, magari avendo saltato la colazione del mattino», non per «fare selfie». Così è intervenuta in Senato la senatrice superstite dell'Olocausto, durante la discussione di un ddl per istituire un fondo a favore delle scuole superiori per visitare i luoghi della Shoah. La norma è stata approvata all'unanimità mercoledì 18 gennaio, ed è passata all'esame della Camera. Riportiamo qui il discorso integrale dell'onorevole Segre

Signor Presidente, grazie prima di tutto per avermi dato un momento per riposarmi. Saluto anche gli onorevoli colleghi, così gentili.

Io sui viaggi della memoria parlerò due minuti. Intanto sono grata alla senatrice Daisy Pirovano, che è stata al mio fianco durante il primo anno della Commissione, per aver pensato ai viaggi della memoria. I viaggi della memoria sono un punto molto particolare nell’ambito dell’insegnamento scolastico, etico e morale. Io sono tra i pochissimi sopravvissuti alla Shoah a non essere mai ritornata là dove ero stata prigioniera; non me la sono mai sentita, anche invitata ad altissimo livello, passati cinquant’anni, nel 1995. Furono presenti grandi personaggi: i reali d’Olanda, Berlusconi, molti personaggi del tempo andarono ad Auschwitz. Qualcuno di loro mi aveva invitato a guidare il gruppo, ma io non me la sono sentita. Poi ho sentito anche alla radio – quella visita si svolgeva in contemporanea a un servizio radiofonico molto importante – la descrizione delle pellicce che indossavano gli ospiti, come per esempio la regina d’Olanda (un insieme elegantissimo di volpi); era molto impellicciato di visone anche Berlusconi, e tanti altri. Io in quel momento fui contenta di non aver accettato l’invito. (Applausi).

Anche oggi, ai ragazzi che intraprendono il viaggio della memoria in inverno, la preside o chi decide il viaggio non ha il coraggio – ci vuole coraggio, è una scelta educativa – di dire una cosa: nei due anni più freddi del Novecento, l’inverno del 1943 e quello del 1944, i prigionieri, oltre che scheletriti e affamati, erano vestiti con le divise famose a righe di cotone rigenerato, di cui poi si è fatto tanto cinematografo e poca realtà. È vero che erano passati cinquant’anni. È vero che si parlava di reali o di Presidenti della Repubblica o del Consiglio, ma a nessuno è venuto in mente almeno di non indossare la pelliccia e i ragazzi di oggi, quelli che intraprenderanno il viaggio della memoria, dovrebbero saltare la colazione del mattino, avere un po’ di voglia di mangiare, che tanto poi soddisferebbero all’uscita del lager.

A volte quei ragazzi, con i selfie, hanno fatto la gita. Quando sento parlare di “gita”, e l’ho sentito tante volte in questi anni (la “gita” ad Auschwitz), prego, imploro e chiedo veramente per favore alla preside o all’insegnante, che mi dicono “faremo la gita ad Auschwitz”, aspettando che io risponda “grazie che ci andate”, dico di andare a Lucca, a Gallipoli, in montagna, per vedere una cosa meravigliosa, ma non Auschwitz. Ad Auschwitz non si fa la gita. (Applausi). Si va silenziosi, come il 2 novembre qualche famiglia affezionata ai suoi morti va al cimitero. Non fa la gita, ma va in un certo modo che è civile, a volte religioso, a volte per nostalgia nei confronti del morto. Ci va in un certo modo e così si deve andare ad Auschwitz.

Ho visto una volta alla televisione, una decina di anni fa, un gruppo di ragazzi olandesi, belli, biondi e alti, così come è la gioventù del Nord Europa, andare in gita – quelli andavano veramente in gita – ad Auschwitz. Avevano in mano un grande gelato, la musica nelle orecchie e da quel cancello che riporta la scritta «Arbeit macht frei», che sappiamo voler dire un’altra cosa, entravano a ritmo di quello che sentivano nelle orecchie, leccando l’enorme gelato. Cosa potevo fare davanti a quella trasmissione?

Io non ho trovato mai le parole, così come nessun superstite, per descrivere Auschwitz. Non ci sono. Non ci sono nell’alfabeto. Non ci sono nei vocabolari di tutta Europa. Cosa dovevo pensare del fatto che un insegnante, un genitore, un preside, un personaggio qualunque avesse radunato dei ragazzi, che hanno davanti una vita lunga, cittadini di una nazione che aveva visto un grande antinazismo, permettere tutto questo? Ho pensato che quei sei milioni di morti erano morti invano. Non si va a fare la gita: si va in silenzio, avendo magari un vestito non ricoperto di volpi e senza aver fatto la colazione del mattino, per poi andare in tutti i ristoranti e gli alberghi cresciuti intorno ai lager. Non si va in gita, si va come un santuario. Si va anche laicamente, a testa bassa, cercando di ricordare, per non dimenticare la Shoah. Grazie. (L’Assemblea si leva in piedi. Applausi).

Dichiaro, quindi, anche a nome del Gruppo Misto, il voto favorevole sui viaggi, e non le gite, della memoria.

* In alto, un momento della dichiarazione di voto di Liliana Segre al Senato, durante la seduta del 18 gennaio 2023, tratto dal video della diretta dell’Aula