Fa perfino ridere scrivere “l’analisi della sconfitta”, è un cartello al collo addosso alla sinistra e al centrosinistra degli ultimi anni. Perché il centrosinistra negli ultimi anni ha perso molto più spesso di quello che sembri. È arrivato al potere, certo, ha anche governato ma l’ha fatto inventandosi alleanze minestroniche ripetendo ogni volta “mai più”. Questa è la prima riflessione: stare al governo senza vincere nettamente le elezioni ha affinato la capacità di gestire il potere molto più del meritarselo. E non è un bel vedere.
Poi c’è la netta sensazione di qualsiasi mancanza di programmazione. Le alleanze nel centrosinistra – che si allei con il centro o con la sinistra o con il M5s – semplicemente “accadono”. Presentarsi in due regioni significative come il Lazio e la Lombardia con due alleati nemici tra loro che hanno passato la campagna elettorale a ripetere quanto facesse schifo il Partito democratico dall’altra parte prevedibilmente fa apparire sconnessi. Meglio, scassati.
Manca il leader, certo. Pierfrancesco Majorino ieri ha detto quello che nel Pd pensano tutti: correre per le elezioni regionali del Lazio e della Lombardia nel pieno di un congresso che da fuori appare di una lungaggine esasperante (e di una natura poco appassionante) è un caso studio di inefficienza politica. Ma oltre alla mancanza di un leader manca un’idea, un’idea qualsiasi di un candidato qualsiasi alla segreteria, che riunisca sotto uno stesso tetto una comunità fratricida che si perde nei rivoli di entrambi i lati (lato Terzo polo, lato M5s) e che si sfilaccia senza sapersi riunire quando serve. L’astensione è una responsabilità collettiva – è vero – ma sta all’opposizione assumersi l’onere maggiore della mobilitazione.
Le lezioni non si vincono a Sanremo. Se lo share è alto e la mobilitazione è bassa (questa la rubo a Antonio Polito) significa che coloro che tu senti “tuoi elettori” non escono di casa per andare a votare. E, badate bene: i dati dicono che Fontana guadagna voti perfino nelle città più colpite dal Covid. Ci sono analisi sbagliate, ammettiamolo. Se nemmeno una pandemia è bastata per sbugiardare l’efficienza lombarda i casi sono due: o la maggioranza degli elettori ritiene che Fontana e Gallera in pandemia abbiano fatto un buon lavoro (difficile, molto difficile) oppure pensano che gli altri rischierebbero di fare peggio. Non è un’idea spaventosa?
Basta essere soddisfatti delle sconfitte. Davvero, basta. «Il Pd rimane saldamente seconda forza politica e primo partito dell’opposizione», dice Enrico Letta, che è un pò come dire “abbiamo saldamente perso” (questa invece la rubo a Luca Bizzarri). Gli elettori vogliono votare partiti che vorrebbero vincere e che si prendano la responsabilità delle sconfitte. Sono anni che si insiste sulla dignità della sconfitta, sulla nobiltà di riconoscere gli errori, sulla lucidità di apporre i necessari cambiamenti e poi qualsiasi risultato è rivenduto come un buon risultato. Ma fate davvero?
Infine c’è un’ultima nota, di cui anche questo articolo è responsabile: le analisi delle sconfitte sono una liturgia che ha rotto i coglioni. Meno di un elettore su due è andato a votare. Questa non è politica, è un abisso.
Buon martedì.
Nella foto: Enrico Letta, frame del video della direzione nazionale Pd, 6 ottobre 2022