L'astensionismo è anche frutto di rapporti di lavoro e di vita sempre più precari: gli "invisibili" si sentono abbandonati e non si sentono rappresentati da sinistre che hanno accettato e accompagnato la globalizzazione liberista

Ha fatto bene Left ad aprire un primo dibattito ineludibile dopo le elezioni regionali. Con un articolo di Piergiorgio Ardeni molto stimolante. Intervengo brevemente solo su due punti avendo già scritto su Left che prevedevo la sconfitta delle sinistre.

La democrazia della rappresentanza sta raschiando il fondo del barile. La stragrande maggioranza dei diseredati e degli sfruttati non crede più che il voto possa mutare la condizione propria e della società. I primi dati statistici ci dicono che solo il 20 per cento delle persone a basso reddito ha votato. Sostanzialmente partecipa al voto la media ed alta borghesia. La rappresentanza diventa appannaggio delle classi medie ed alte .

È importante, allora, innanzitutto costruire processi di soggettivazione sociale. Cresce la distanza tra politica ed istituzioni da un lato e proletari dall’altro; distanza che non può certo essere colmata da operazioni meramente elettoralistiche. D’altro canto l’abbandono del voto è anche frutto di rapporti di lavoro e di vita sempre più precari: gli “invisibili” si sentono abbandonati, non si sentono rappresentati da sinistre che hanno accettato e accompagnato la globalizzazione liberista. Non vedono più il motivo di votarle, di delegare la loro condizione.

A me pare che, in definitiva, in Europa si stia consumando la scissione tra capitalismo e democrazia. E anche le formazioni sociali slittano, per dirla con le parole scientifiche e addolorate di Antonio Gramsci, verso forme di “rivoluzione passiva” (di cui il governo postfascista italiano è alimento e conseguenza). Siamo, insomma, privi di rappresentanza politica (e, sia detto per inciso, dovremo impegnarci seriamente per costruire un “fronte per il proporzionale”) ma anche di adeguate rappresentanze sociali e sindacali, che sappiano riannodare le fila di una realtà frantumata, atomizzata, spaesata.

A passi veloci, ci avviciniamo al modello sociale statunitense. Le sinistre sono, ora, una nebulosa, un’allusione, un’area senza confini. Per ridare loro vita dovremo, innanzitutto, proporre, con radicalità, punti di vista “rovesciati” rispetto al “pensiero unico” del mercato. Chi ricorda ancora le riflessioni di quel testo straordinario che fu Americanismo e fordismo? La società esiste; ed esistono movimenti territoriali, organizzazioni mutualistiche, episodi di conflitto sociale. Ma le sinistre non analizzano e non comprendono. Ha ragione Domenico De Masi che scrive: «Quando è arrivata la società postindustriale è cambiato tutto e la sinistra ha continuato a ragionare in termini industriali. La sinistra deve essere la prima in assoluto a leggere le trasformazioni sociali…Invece la sinistra ha accompagnato il neoliberismo. Ma il guaio maggiore è che manco se ne è accorta. Queste elezioni sono l’ennesima firma su quel declino».

Le destre postfasciste sono, oggi, in grado di colmare questo vuoto, torcendo la “rivoluzione passiva”, che è un disastro per la legalità costituzionale, in occasione per una stretta autoritaria. Basti pensare all’accoppiata fatale, disastrosa, tra autonomia differenziata e presidenzialismo autoritario. Non risaliremo la china con cortocircuiti politicisti o sommatorie elettoralistiche. Certo, occorrerà “fare politica”, costruire progetti, programmi lotte: da qui nascono alleanze salde. Ma lungo sarà il lavoro di ricerca, elaborazione, che dovrà accompagnare l’inchiesta sociale.

Un lavoro molto radicale, ma non settario. Partendo da un tema colpevolmente rimosso: l’Italia è in guerra, anche se il presidente della Repubblica Mattarella ed il Parlamento fanno finta di non saperlo. Quali ripercussioni sulla struttura economica del Paese, sui salari, sui redditi, sui lavori , sulle paure delle persone? La paura genera, nella società, arroccamento, timore. Essa si configura come insieme di corporazioni. Ricostruire significa ripartire: dalla radicale critica di Marx del capitale (la liberazione del lavoro umano dal suo carattere di merce. Penso occorra spostare l’accento sull’esperienza sociale quotidiana, sul “partito sociale” come agente ed organizzatore della società, sul ruolo di promotore del conflitto ma anche di stimolo di una riforma intellettuale e morale.

Nella foto AdobeStock case popolari a Tor Bella Monaca (Roma)

Il dibattito sulle elezioni regionali. Leggi gli altri contributi pubblicati su left.it:  

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Pier Giorgio Ardeni