La violenza accadde il 5 luglio 1982. Tonino aveva 8 anni, a maggio dell’anno prima, nel giorno dell’attentato a Giovanni Paolo II, si erano celebrati i funerali di sua madre. Lui ancora ne soffriva (per sua madre), come è naturale. Con un pretesto padre Alfio lo attirò nelle docce della canonica. Era da tempo che il sacerdote lo aveva puntato e dopo averlo avvicinato, fatto sentire importante e blandito con regali portò a compimento il suo piano criminale. Attorno a questa storia, che può risuonare come vera ma è di pura finzione, si snoda il romanzo di esordio di Giovani Di Marco L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi edito da Baldini+Castoldi. Abbiamo voluto incontrare l’autore perché raramente la narrativa si è occupata del tema della pedofilia nella Chiesa cattolica. Anzi, addirittura in Italia molto probabilmente si tratta di una assoluta prima volta. Una prima volta che ci preme approfondire.
«Questo mio lavoro – racconta Di Marco – è generalmente definito un romanzo di formazione. È corretto ma lo è semplicemente perché il protagonista è un bambino e lo vediamo crescere nel corso delle pagine fin dall’infanzia. In realtà – prosegue – è anche e soprattutto un romanzo di denuncia, perché l’intenzione sottesa è quella di mettere in luce il modus operandi che la Chiesa cattolica ha adottato per decenni gestendo in segreto assoluto i casi di pedofilia. Per evitare lo scandalo pubblico e per un’idea di giustizia (sempre che si tratti di giustizia) che mai coincide con quella laica. Il punto è che questo atteggiamento ha creato i presupposti perché le vittime si moltiplicassero in tutto il mondo». Di Marco è un appassionato giornalista sportivo (lo si nota dal racconto dei mondiali di Spagna che accompagna il lettore nella prima parte del romanzo) ed è accanito lettore. Sul suo canale Instagram (thebooklover_it) conduce il programma Bla Bla libri nel quale conversa con altri autori per scoprire i loro gusti in tema di letture. Mai si è occupato per professione di vicende di pedofilia. Allora perché un romanzo e perché su questo tema?
«Come chiunque abbia quanto meno un briciolo di umanità e sensibilità provo orrore e sdegno di fronte a notizie come quella sulle 210mila vittime di preti pedofili in Francia oppure quella più recente delle migliaia di vittime scoperte da un’inchiesta indipendente in Portogallo. Tuttavia mi rendo anche conto che l’opinione pubblica in Italia legge, s’indigna e il giorno dopo dimentica». In tanti si voltano dall’altra parte. «Esattamente. E forse questo atteggiamento diffuso è il motivo per cui la Chiesa italiana è rimasta di fatto l’unica al mondo che è riuscita a evitare che una vera commissione indipendente indagasse sui crimini dei suoi preti. Allora ho pensato che attraverso una storia inventata avrei potuto contribuire ad aggirare l’indifferenza e sensibilizzare chi resta inerte. Il fatto che L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi in poche settimane abbia avuto risultati importanti mi fa ben sperare».
La pedofilia, come ha detto lo psichiatra Massimo Fagioli, è «l’annullamento della realtà umana del bambino», e la violenza di padre Alfio su Tonino corrisponde a una firma precisa del modus operandi di queste persone. Prima c’è la manipolazione approfittando dello stato emotivo del bambino ancora molto provato dalla morte della madre e poi una volta carpita la sua fiducia avviene l’aggressione (quella che il magistrato Pietro Forno ha definito efficacemente: «L’equivalente di un incesto»). Anche questa è mascherata vigliaccamente e lucidamente dall’adulto con parole che confondono e colpevolizzano la vittima. «Non dire che ti ho lavato. Anzi non dire proprio niente. Solo che mi stai aiutando a ripitturare la canonica e basta… lo giuri?» «Lo giuro». «Mi raccomando coi giuramenti non si scherza». C’è poi magistralmente rappresentato dall’autore anche il vuoto complice, delle istituzioni laiche e di quelle religiose oltre che della fetta di società immediatamente vicina alla Chiesa, che si crea intorno a questo crimine.
«Ho iniziato a scrivere solo dopo aver molto studiato ed essermi documentato su saggi e libri che per fortuna non mancano, e ho inventato questa vicenda che si può definire emblematica e realistica al tempo stesso perché queste storie si assomigliano tutte. Succede così che Tonino si sente tradito almeno tre volte: da un adulto a cui aveva dato fiducia, da una figura di riferimento come può essere un prete per chi è nato e cresciuto in ambiente religioso e poi dalla Chiesa, o forse ancor di più dalla religione, che protegge il suo aguzzino. Da ateo dico che questo non è certo un libro contro chi crede ma non c’è dubbio che certe coscienze soprattutto all’interno del Vaticano, ma non solo, vadano scosse in profondità altrimenti questa piaga sociale non sarà mai affrontata seriamente».
Un’altra cosa che colpisce leggendo questo romanzo è il fatto che sia calibrato sulla vittima e sulle conseguenze della violenza subita sulla sua vita sociale e di relazione. «Pensiamo a come i media italiani si occupano generalmente di questi casi. La vittima non c’è mai. Si concentrano morbosamente sul carnefice, sui particolari della violenza. Al più si bilancia questa cosa facendo pronunciare le solite parole vuote di circostanza al rappresentante della Chiesa che promette pulizia. Si crea un racconto nel quale (non so quanto involontariamente) assume rilievo quello che ha fatto il prete, chi lo difende, il contesto in cui è accaduto il crimine. E la vittima diventa invisibile». Anziché suscitare solidarietà si ottiene il contrario. «Le vittime fanno paura, vengono isolate da una certa fetta della società. Io vivo in Sicilia. Chi denuncia il pizzo viene isolato. Magari la gente sta dalla sua parte ma lo emargina socialmente». Così si dà potere alla mafia. «Lo stesso accade con i preti pedofili. C’è una struttura che li protegge e li sottrae alla giustizia e un pezzo di società (e di politica) che non osa andar contro questa struttura. Fermo restando il dovere giornalistico di tutelare la privacy di un bambino, parlare della vittima sui media va contro l’imposizione del silenzio da parte della Chiesa».
L’avversione di Tonino per i ceci e i polacchi (a proposito, il polacco è Wojtyla, e Tonino non si capacita che l’attentato faccia più notizia della morte di sua madre; per quanto riguarda i ceci, non vogliamo inibire la curiosità del lettore) è ambientato come detto inizialmente nei primi anni Ottanta. La scelta dell’autore non è casuale. Sono gli anni di Giovanni Paolo II e del suo fido braccio destro alla guida della magistratura vaticana, il cardinale Ratzinger e, come si scoprirà dopo un ventennio, sono quelli di massima diffusione della pedofilia nella Chiesa in tutto il mondo. Quello che vorremmo sapere da Di Marco è se è d’accordo con la narrazione mainstream secondo cui con Bergoglio la Chiesa ha iniziato ad arginare la pedofilia al suo interno. «Non so dire se Wojtyla abbia commesso un inaccettabile errore di valutazione oppure se ne sia totalmente disinteressato. Lui era ossessionato dal comunismo e badava solo a eliminarlo. Per Ratzinger questo crimine è rimasto fino all’ultimo un delitto contro la morale, un peccato, sebbene sia ricordato per aver inasprito le norme penali. Quanto a Bergoglio io non credo che abbia la forza per cambiare concretamente le cose. Dà l’impressione di voler fare ma in concreto ha fatto pochissimo. Basta guardare cosa (non) fa la Chiesa italiana. Il Vaticano dovrebbe costringere i vescovi a denunciare e collaborare con la giustizia. Punto. Ma dal momento che questo non succede è lo Stato italiano che se ne deve prendere carico. Non può più lasciarli fare come gli pare».
L’immagine di apertura è tratta dalla copertina del libro di Giovanni Di Marco