Dopo essersi scagliato per mesi contro Carola Rackete il ministro delle Infrastrutture si è fatto salvare dai suoi compagni di brigata nella Giunta per le elezioni che ha negato l'autorizzazione a procedere

L’aveva definita “zecca tedesca“,”sbruffoncella” e “complice di scafisti e trafficanti”. La prima e la terza definizione sono passibili di condanna. Che Carola Rackete sulla quale su Left abbiamo scritto molto sia “complice di scafisti e trafficanti” appare, allo stato attuale, una diffamazione bella e buona.

Solo una tra le tante che alcuni membri di questo governo usano per soffiare sul razzismo che hanno promesso di sfamare durante la loro campagna elettorale.

Matteo Salvini ha probabilmente diffamato Carola Rackete ma dopo avere passato mesi a infamarla ieri ha deciso di farsi salvare dai suoi compagni di brigata nella Giunta per le elezioni che ha negato l’autorizzazione a procedere, dopo la denuncia per diffamazione della capitana di Sea Watch 3. A favore di Salvini hanno votato in dieci: i senatori del Carroccio, di Fdi e di Forza Italia, con tre voti contrari (due del Pd e 1 del M5s) e due astenuti, il renziano Ivan Scalfarotto e Ilaria Cucchi dell’alleanza Verdi-Sinistra.

Ilaria Cucchi ha spiegato di aver ritenuto doveroso astenersi «avendo avuto con l’onorevole Salvini, oggi ministro, numerosi procedimenti come persona offesa e/o indagata per lo stesso titolo di reato». Il gruppo Verdi-Sinistra ha comunque confermato che voterà l’autorizzazione a procedere in Aula.

Non ci sta il senatore del Pd Alfredo Bazoli: «È una vergogna. – dice -. Non è accettabile che si usi questo strumento della insindacabilità per proteggere e impedire che vada a giudizio un ministro che si è permesso per un mese e mezzo consecutivo da qualunque canale, tv o social di insultare una persona, protesta il senatore parlando di “un precedente molto pericoloso perché così si autorizza chiunque a dire qualunque cosa in un’aula parlamentare essendo autorizzato a farlo, e si fa un pessimo servizio alle nostre prerogative che vanno salvaguardate sì ma non in questo modo. Ci si scherma dietro ragioni giuridiche che sono totalmente infondate, secondo noi». Dello stesso avviso anche Ketty Damante del Movimento 5 stelle: «Per noi – spiega – Salvini dovrebbe difendersi nel processo, e non dal processo esattamente come ogni altro cittadino. Nel merito, le sue parole contro Carola Rackete non rappresentavano opinioni politiche ma veri e propri insulti, di fronte ai quali oggi il leader leghista si scherma con l’immunità parlamentare anziché renderne conto davanti a un giudice. In aula confermeremo il nostro voto di oggi».

Curiosa la difesa di Adriano Paroli di Forza Italia che si trincera dietro a “l’articolo 68” che «prevede che si individui il fatto per cui un senatore abbia espresso le sue opinioni nell’esercizio del suo mandato. Ciò non induce la Giunta a intervenire con un’analisi della veridicità o gravità delle affermazioni, non ci compete. Per me era evidente che quello che ha detto il ministro era nell’esercizio del suo mandato». Per Paroli quindi un senatore che scippa un’anziana nell’esercizio del suo mandato è un problema che non gli compete, evidentemente.

Salvini scappa semplicemente questo. E lo fa nel momento in cui al Viminale c’è qualcuno che prova a fare peggio di lui.

Buon mercoledì.

*

L’immagine di apertura è una illustrazione di Paola Formica

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.