Dopo il naufragio davanti alle coste calabresi, è nata la Rete 26 febbraio i cui volontari stanno aiutando i familiari delle vittime e i superstiti. «È difficile gestire così tanto dolore», racconta Manuelita Scigliano (Sabir). Sabato 11 la manifestazione nazionale a Cutro: «La società civile deve fare pressione sulla politica», dice Francesco Turrà (Jobel)

Si chiama Rete 26 febbraio e rappresenta la reazione della società civile, dei cittadini, delle associazioni di fronte al naufragio di Cutro, avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio scorsi e costato la vita ad almeno 72 persone (purtroppo un dato in aggiornamento) partite dalle coste della Turchia e provenienti da Afghanistan, Iran, Pakistan e Siria. Un naufragio che non è stato frutto di una tragica fatalità, ma di anni di scelte politiche “migranticide” tra le quali, per esempio, il decreto Piantedosi che ostacola le Ong che effettuano soccorsi in mare, varato a gennaio 2023 e approvato alla Camera dei deputati a febbraio, e il rinnovo, sempre a inizio febbraio scorso, del documento d’intesa con la Libia firmato per la prima volta nel 2017 sotto il governo Gentiloni allo scopo di contrastare l’immigrazione irregolare.

E infatti il naufragio di un’imbarcazione che trasporta migranti nel Mediterraneo è un fatto quasi all’ordine del giorno, che il più delle volte passa in sordina anche a livello mediatico. Di diverso questa volta c’è che i resti del peschereccio e della tutina rosa di una bambina giacciono sulla sabbia umida e scura di una spiaggia calabrese, e che centinaia di persone, tra cui il presidente Mattarella, si sono raccolte al Palasport di Crotone per rendere omaggio a decine di bare allineate lì, in quel luogo spoglio e straniero. Sono passati dieci anni dal 3 ottobre 2013, quando 368 persone persero la vita vicino a Lampedusa in quel naufragio a seguito del quale fu avviata l’operazione Mare nostrum, e il fatto di dover parlare ancora di morti nel Mar Mediterraneo suscita un’inevitabile indignazione.

Le parole di Manuelita Scigliano, portavoce del Forum del Terzo settore crotonese e presidente dell’associazione Sabir, fanno comprendere quanto si sta vivendo a Crotone in questi giorni. L’aria è pesante, e al dolore collettivo si è aggiunto quello dei parenti delle vittime e dei superstiti giunti in città: «La popolazione di Crotone e noi operatori siamo frastornati, è difficile gestire tanto dolore. Noi siamo quotidianamente con i familiari ed è davvero straziante», racconta. Il suo tono di voce tradisce la stanchezza di chi con determinazione si muove nella giusta, faticosa, direzione, anche quando il vento è sfavorevole. Pochi giorni dopo il naufragio il Forum del Terzo settore crotonese, spinto dall’esigenza di fare rete e di auto-organizzarsi, data l’inefficacia delle risposte istituzionali, ha convocato una riunione: la presenza è stata molto più massiccia del previsto, e l’intento congiunto con cui si è conclusa è stato quello di lanciare un appello per fare rete. Rete 26 febbraio, appunto. Ad oggi questo appello ha raccolto 320 adesioni, di cui 222 enti italiani ed europei, e un centinaio di persone singole.

Le primissime questioni che la Rete si è adoperata ad affrontare sono state di natura logistica: «Ci siamo occupati dell’accoglienza dei familiari che stavano provenendo da ogni parte d’Europa e del mondo, della fornitura dei pasti, di un cambio di vestiti perché alcuni sono partiti in tutta fretta sperando di poter riabbracciare i loro cari, di una Sim per il telefono per chi invece era superstite dal naufragio e voleva mettersi in contatto con la famiglia», spiega Scigliano. Questioni basilari, cui si aggiungono quelle, altrettanto concrete, di tradurre – non soltanto dal punto di vista linguistico, ma anche in termini di mediazione con le istituzioni – le istanze dei familiari. «Che ad oggi sono principalmente due: il rimpatrio delle salme, la maggior parte delle quali in Afghanistan, e il ricongiungimento dei superstiti con i familiari in Europa», continua. Mentre scriviamo, sul trasferimento in Afghanistan dei feretri delle vittime del naufragio, permangono ancora problemi burocratici tanto che la notte scorsa i familiari per impedire che le salme dei loro cari venissero trasportate a Bologna per essere seppellite nel cimitero musulmano, hanno dormito nel palasport di Crotone, il luogo che ospita le bare.

La protesta dei familiari delle vittime, Crotone, 8 marzo 2023

Dare sostegno e conforto ai familiari delle vittime e ai superstiti è necessario, sì, ma non sufficiente, e le persone di questa Rete neo-costituitasi si sono rese conto fin dalle prime ore che è arrivato il momento di dire basta, e di mobilitarsi affinché simili tragedie non succedano più nel Mediterraneo. «Soprattutto dire basta al clima di criminalizzazione delle vittime, dei migranti: non si può dire che le morti in mare sono loro responsabilità, non si può dire che si prevengono prevenendo le partenze. Si prevengono garantendo i soccorsi in mare e soprattutto garantendo vie legali e sicure di ingresso in Europa, e politiche migratorie che favoriscano l’integrazione e l’accoglienza», dichiara ancora la presidente di Sabir, che continua decisa: «La tragedia di Crotone è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso». Il chiaro riferimento è alle affermazioni del ministro dell’interno Piantedosi, tanto per citarne una quella sull’assenza di senso di responsabilità delle persone che si imbarcano con i propri figli, parole per le quali ne sono state chieste le dimissioni a più voci, tra le polemiche sorte sulla presunta omissione dei soccorsi.

Di fronte a dichiarazioni di questo tipo il bisogno di fornire un’alternativa è d’obbligo, e l’alternativa passa in prima battuta attraverso la comunicazione. «L’idea che è passata dal momento in cui si è venuta a creare la Rete», spiega Francesco Turrà, coordinatore del Consorzio di cooperative sociali Jobel, «è stata quella di partire dalla comunicazione, che è spesso il problema principale. Comunichiamo concetti chiari. Va bene il confronto di idee, va bene il dibattito, ma poi le istanze che giungono dalla società civile devono portare a una sintesi coesa che permetta di fare delle rivendicazioni a livello italiano ed europeo. Questo non avviene ormai da troppo tempo». Rivendicazioni chiare, quindi, su pochi concetti chiave: aprire i corridoi umanitari, salvare le vite in mare e rendere legali e sicure le vie di accesso in Europa.

Nel frattempo i riflettori di tutta Europa sono puntati su Crotone, dove il presidente Mattarella è stato in visita lo scorso giovedì, e dove oggi, 9 marzo, si tiene un Consiglio dei ministri straordinario. «Da un lato nutriamo speranza che questo Consiglio dei ministri possa segnare una svolta sia nella risposta all’istanza dei familiari sia per un cambio di passo nel ragionamento sulle politiche migratorie, dall’altro temiamo che sia l’ennesima passerella politica, un cordoglio sterile che poi non porterà a nessun risultato effettivo», spiega Scigliano, che d’altro canto giudica positivamente la visita del Capo di Stato, «che si è preso l’impegno personale a dare il proprio contributo affinché venissero date risposte concrete», conclude.

Per sabato 11 marzo, poi, è stata convocata proprio a Crotone una manifestazione nazionale che ripercorrerà i luoghi della tragedia: «Riuscire a catalizzare un movimento del genere in questo contesto così periferico e marginale, che già vive internamente numerose contraddizioni, può essere una buona occasione», dichiara Turrà, «non solo per sollevare questo tema ma in generale, secondo me, per unificare tanti tipi di lotte che poi alla fine hanno a che fare sempre con il concetto di potere e di prevaricazione dell’essere umano sull’essere umano». Anche in occasione di questa manifestazione saranno società civile e terzo settore a scendere in piazza: «La società civile deve operare una sorta di attività di lobby nei confronti della politica, spingere la politica a fare determinate cose. Non basta scendere in piazza. Dobbiamo farlo, poi però devono intervenire i corpi intermedi, i sindacati». Soprattutto, poi, bisogna agire in fretta, perché il vaso è già traboccato da tempo o, per usare la metafora di Turrà, il fiume straripato. «Quando gli argini cominciano a cadere – e ne sono caduti tanti – poi non ci rendiamo neanche conto di quando arriva la piena. Questa è una piena», conclude il coordinatore di Jobel, «e tollerare un evento del genere, dal punto di vista politico, significa buttare giù un altro bel pezzo di argine, e aprire la strada a fatti ancora peggiori».

Foto Francesco Turrà