Parigi – La democrazia è fatta sicuramente di regole. Sono necessarie, ma non sono sufficienti. E a volte, le stesse regole del gioco democratico contraddicono il fine atteso. Il presidente Macron ha usato tutti gli strumenti costituzionali a sua disposizione per approvare una riforma che 9 lavoratori su 10 non vogliono in Francia. Non solo ha adottato una procedura al limite della legalità per accelerare il più possibile il dibattito (nella speranza che i sindacati non avessero il tempo di organizzarsi), ma davanti ad un Parlamento che esitava ad approvarla (in cui i deputati erano sommersi da messaggi che chiedevano di non votare la riforma), il governo Borne ha usato l’articolo 49-3 della Costituzione francese che permette di approvare una legge senza il voto del Parlamento. E così è stato. Ma come per la procedura accelerata, questa mossa ha avuto l’effetto opposto a quello sperato: se Macron e Borne speravano che le manifestazioni cessassero una volta approvata la riforma, la risposta sono state decine e decine di manifestazioni spontanee in tutto il Paese, la più significativa delle quali è stata a Place de la Concorde,a Parigi, dove migliaia di persone hanno “assediato” l’Assemblea nazionale.
Già da settimane, con l’avvicinarsi del voto, del Parlamento, le manifestazioni e gli scioperi erano aumentati in numero e in partecipazione. Oltre al settimanale sciopero nazionale, si erano aggiunti scioperi locali, occupazioni di scuole e università, manifestazioni spontanee. I sindacati hanno deciso di alzare il livello della lotta e hanno organizzato azioni di blocco (dalle tangenziali con le barricate inffiammate, ai depositi di gas occupati e poi chiusi, alle dighe elettriche fermate, all’occupazione di centri di smaltimento rifiuti con Parigi sommersa dalla spazzatura, al blocco dei binari). Ma molte altre azioni sono state organizzate da gruppi di giovani delle periferie, con cassonetti dati alle fiamme.
La polizia ha cambiato atteggiamento verso le proteste dopo l’approvazione della riforma tramite il 49-3: se fino a quel momento era stata discreta, poi ha attuato azioni di repressione violenta delle manifestazioni. In alcuni casi si è assistito all’arresto in massa di decine e decine di persone, o all’aggressione di studenti che uscivano per sostenere l’occupazione di un sito produttivo.
Le azioni, tanto quelle sindacali quanto quelle spontanee, sono tante e diverse ed è difficile dare conto di tutto. Ma è proprio questo il punto centrale della situazione attuale. Il movimento di protesta non si ferma davanti all’approvazione della riforma. Anzi, dall’inizio degli scioperi lo scorso gennaio è costantemente cresciuto e ha saputo avvicinare tanto i giovani, i movimenti femminili, ma anche categorie lontane dal mondo salariato come gli agricoltori (che partecipano alle manifestazioni) o i commercianti (che abbassano le serrande in solidarietà con gli scioperi). L’eco parlamentare di questo movimento di protesta lo si è visto nel voto per la mozione di censura del governo, approvata con soli 9 voti. Le due volte in cui i lavoratori e i sindacati vinsero in precedenza fu nel 1995 (anche allora sulle pensioni) e nel 2005 (contro il contratto di lavoro per i giovani). Nei due casi, sebbene la riforma fosse stata approvata, le manifestazioni non si fermarono e andarono avanti per mesi. Nel 2005 la moltiplicazione delle azioni da parte dei giovani e dei sindacati arrivarono a un livello tale per cui le forze dell’ordine, nonostante la repressione violenta, non riuscivano più a gestire l’onda crescente. Il governo fu obbligato, dopo aver approvato la riforma, a fare una nuova legge per cancellarla vista la rivolta sociale sempre più ingestibile.
Questa volta può accadere la stessa cosa, anche se per il momento è meglio dirlo a bassa voce. L’azione dei sindacati unita a quella dei giovani può riuscire a bloccare questa riforma. Una riforma che ha coagulato contro di sé tante altre contraddizioni, legate alla disoccupazione post pandemia, all’inflazione connessa alla guerra in Ucraina e all’insoddisfazione per tante controriforme (come quella che riguarda la disoccupazione, che colpisce i precari).
A tutto questo si aggiunge il disprezzo per la democrazia mostrato dal governo. Macron è stato eletto per battere Le Pen, così volevano molti che l’hanno votato al secondo turno. E il governo da lui sostenuto non ha una maggioranza parlamentare autonoma e deve sempre poter contare sui voti della destra o della sinistra. In questa situazione, anche cittadini miti e moderati, vedono nell’utilizzo del 49-3 un gesto profondamente e sostanzialmente antidemocratico. Da un punto di vista costituzionale è tutto corretto (anche se si dovrà pronunciare la Corte Costituzionale), ma appunto la democrazia non è fatta solo di regole.
Le prossime settimane mostreranno se i sindacati riusciranno a resistere un minuto più del governo o se le forze di polizia prevarranno. Ma già è stato annunciato un referendum abrogativo, per il quale saranno necessarie 4,8 milioni di firme per poterlo ottenere. Un obiettivo anch’esso scarsamente democratico ma che, visto il livello delle mobilitazioni, può essere raggiunto.