Con leggerezza, la sua storia, niente affatto leggera, entra nei versi senza far rumore. È la cifra speciale di Vivian Lamarque, che abbiamo incontrato a Roma dove le è stato conferito il premio poesia Fondazione Roma, dopo aver ricevuto il premio Saba e molti altri riconoscimenti.
Vivian è una gentile signora che si muove nella vita come in un giardino, facendo attenzione al qui e ora, provvedendo agli imprevisti con la calma di chi è abituato a piantare semi e sa aspettare per la fioritura. Nata a Tesero, in provincia di Trento nel 1946 da madre valdese, ha un lungo cognome Provera Pellegrinelli Comba che ci parla della sua complessa vicenda umana: Pellegrinelli il nome della «madre di cuore», come dice lei, diversa da quella biologica che l’ha abbandonata; Provera cognome dell’amato padre adottivo Dante Provera, campione d’Italia di sollevamento pesi, morto quando lei aveva quattro anni; infine Comba, il più pesante, quello della madre che l’ha rifiutata e del nonno, pastore valdese, che per il suo ruolo ufficiale di uomo di Chiesa, non poteva accettare una nipote nata da un rapporto extraconiugale di sua figlia, precedentemente rimasta vedova.
Cresciuta in questo contesto Vivian Lamarque porta il nome del marito, il pittore Paolo Lamarque dal quale è separata, ma con cui ha mantenuto sempre un rapporto di affetto. Fu lui che, nel 1972, fece leggere al poeta Giovanni Raboni i primi versi della moglie, pubblicati subito sulla rivista letteraria Paragone, cui seguirono una lunga serie di libri e racconti, poesie, e anche favole per bambini. La vicenda umana cui abbiamo fatto cenno all’inizio, ha molti altri risvolti:a dieci anni, d’estate in colonia, la bambina venne a sapere per caso di essere stata adottata, perché qualcuno la chiama con il cognome di origine, Comba (poco tempo dopo troverà in una scatola delle lettere tra la famiglia d’origine e quella adottiva). Busserà alla porta della madre, ricevuta da una gelida e cortese accoglienza («mangiavo dormivo/facevo la brava bambina per conquistarti/“mammina”/corteggiamento vano/ a nove mesi mi hai preso per mano/ mi hai lasciata a Milano». Sono alcuni versi in cui il tono quasi ironico, fa venire in mente l’amaro senso di umorismo di certi autori e cantautori milanesi, maestri nel descrivere la sofferenza umana con la svirgolata finale tipica del clown triste. Cercherà anche il padre, preside di una scuola in trentino che si irriterà molto di esser stato “disturbato”.
Oggi dopo molti premi (Viareggio Opera prima, premio Bagutta, Morante ecc) Vivian Lamarque è poeta di fama, anche candidata alla prima edizione del premio Strega poesia.
Vivian Lamarque come è nato il libro L’amore da vecchia, uscito per oscar Mondadori? Il mainstream parla sottovoce dei sentimenti di una persona matura?
Il desiderio di non parlare più della mia ormai preistorica infanzia è coinciso con un innamoramento di tipo adolescenziale, mille anni fa, quando lui passava io ragazzina guardavo ore un ragazzino che giocava a pallone e non si osava dire nulla. Nel 2016, quando avevo settanta anni, mi accadde lo stesso tipo di innamoramento: scrissi subito decine e decine di poesie, molte più di quelle entrate nel libro. Ero felice di scriverne uno finalmente che non parlava di infanzia. C’è anche una sezione intitolata “Come nei film”. Sono poesie in certo modo cinematografiche (e ce ne sono anche di “ferroviarie”), 14 titoli di film dagli anni Cinquanta sino ad oggi, sino a Nostalgia di Martone.
In molte interviste ha raccontato la sua vicenda: l’abbandono, poi nuovi affetti veri, in mezzo lo spaesamento che la portava a cercare suo padre naturale ovunque, magari in un volto sconosciuto…
Sì..appunto di questo non volevo più scrivere e invece, anche se in misura minore, ho scritto. Si, pedinavo chi mi pareva mi somigliasse. Ma non alla ricerca del padre, a quei tempi credevo morto anche quello naturale, dopo aver perso quello adottivo a 4 anni..Dai 10 ai 19 anni ero un segugio a caccia di madre ovunque, per strada, sui tram, a scuola, a Milano, in vacanza e sulle lapidi dei cimiteri. I diari di quel tempo, che conservo, testimoniano uno stato di confusione mentale tale da richiedere una appropriata psicoterapia, quella a cui mi rivolsi purtroppo solo a 38 anni. Sino ad allora l’unica medicina fu la poesia.
Non è mai stata arrabbiatissima con la sorte o proprio con le persone fisiche che l’hanno lasciata? E lei come ha imparato ad amare ?
È una domanda che mai nessuno, ricordo, mi abbia mai posto, forse neppure Vivian a Vivian lo ha chiesto…Non ricordo rabbie, ricordo depressioni. Tante. Da bambina poi mi sembrava di essere un personaggio da fiaba come Remì di Senza Famiglia, di Hector Malot. Da grande, quando ho conosciuto le motivazioni, ho potuto capire e giustificare.
Come ha trovato “le parole per dirlo”?
Loro hanno trovato me, a dieci anni, con le prime poesie. La terapia non mi ha dato le parole. Mi ha dato le chiavi per rileggere la mia storia e quella degli altri. E ha tracciato la linea di confine tra immaginario e realtà che avevo da decenni cancellato. Alle parole spero di rimanere fedele fino all’ultimo. Nel nuovo libro un verso dice «non mi lasciare mai alfabeto».
A sua figlia ha raccontato la sua vicenda? Cosa le ha detto?
Mia figlia l’ha sempre saputo. In casa vedeva fotografie e se ne parlava. Forse anche troppo. Per lei però, l’unica nonna era la nonna che aveva amato me e lei. Non ha mai manifestato il desiderio di conoscere mia madre naturale, però acconsentì a incontrarla una volta quando, verso la fine della sua vita, lei chiese di poterla vedere.
Oggi tante donne non vogliono più fare figli. Mancanza di aiuti e strutture pubbliche ma anche desiderio di crescere personalmente. Cosa ne dice?
Si gli aiuti mancano, ci sono donne che non fanno figli o che ne fanno di meno, ma ci sono anche tutte le altre. Anche per le maternità ci sono e ci saranno sempre basse e alte maree.
Abbiamo parlato di parole, di capacità di amare…e lei come ha imparato ad amare?
Dalla mamma adottiva e dal papà adottivo, benché subito perso, perché tutti mi raccontavano quanto mi aveva adorato. Ho foto splendide, io piccola accanto a lui che era un gigante. E in seguito ho imparato dalla maternità stessa, cioè dall’essere diventata madre, madre di Miryam cui ne L’amore da vecchia” ho dedicato una lunga poesia..(«Miryam mia bambina, mia rima /mia infinita mattina” /su verso la tua stanza d’infanzia / papà chiamava giù dal giardino/Miryam mia assonanza mia rima/ era intatto il tempo del prima….”