Malgrado la spettacolarizzazione dei cosiddetti “sbarchi”, ormai da molti anni si verifica una sparizione delle persone migranti che cercano di attraversare i confini esterni europei con una totale impunità delle autorità responsabili di prassi di respingimento e di abbandono in mare, che sono state, e rimangono, al centro delle politiche migratorie di diversi governi italiani. Dal 2014 ad oggi, oltre 26mila esseri umani, bambini, donne e uomini sono annegati nel Mediterraneo (Organizzazione internazionale per le migrazioni, Oim) e, in solo sei anni dalla firma del Memorandum Italia-Libia nel 2017, oltre 100mila civili sopravvissuti sono stati intercettati a mare e forzatamente respinti in Libia. Ogni anno, migliaia di persone vengono riportate indietro.
La maggior parte di loro è rinchiusa di nuovo nei lager libici, condannata a torture ed abusi sistematici documentati da anni dalle Nazioni Unite, se è sfuggita alla morte per annegamento. Il numero di coloro che sono state vittime di respingimento o di naufragio si può solo stimare; l’entità effettiva e i loro nomi non si conosceranno probabilmente mai (anche per via dei numerosi naufragi invisibili). Persone, non numeri o merci da scaricare, ma corpi, vite, memorie, che sempre più spesso si perdono in mare nell’indifferenza generale.
Nelle persone disperse, scomparse, fuggitive, o respinte con procedure che non rispettano i diritti fondamentali sanciti dalle Convenzioni internazionali, ma sono frutto di discrezionalità di polizia alla frontiera, o di scelte politiche non sindacabili davanti ad un giudice, si può configurare una particolare categoria di “popolo migrante” titolare di diritti che vengono sistematicamente lesi, incluso il diritto alla vita, dalle autorità di Paesi che cercano di impedire l’attraversamento della frontiera, sia quando si tratta di uno spazio marino, che di un filo spinato o di un muro di confine.
L’estensione geografica e la strutturalità dei crimini contro le persone migranti riguarda ormai tutti i confini europei esternalizzati, e alcuni confini interni dell’Unione europea, dove non vi è più traccia del principio di libera circolazione. Su un “arco della barbarie”, che va dai Balcani alle coste dell’Africa occidentale, assistiamo ad una mostruosa accelerazione del crimine istituzionale per effetto del concatenarsi letale di politiche di abbandono a mare e di omissioni di soccorso, di respingimenti e di detenzione di massa, mentre si assiste ad una continua militarizzazione dei confini. A seconda delle aree geografiche e del livello di delega da parte dell’Unione europea agli Stati a cui si trasferisce il compito degli arresti e dei respingimenti, le violazioni dei diritti delle persone in movimento hanno sfaccettature diverse, che sollevano questioni di responsabilità specifiche in base alla ricostruzione della catena di comando.
Eppure, i crimini odierni hanno una caratteristica unitaria, sacrificare la vita delle persone migranti in nome della “difesa dei confini europei”. Sacrificare quella parte di umanità in movimento, deumanizzata, identificata con la generica categoria dei “migranti” e diventata “bersaglio”; tanto da rendere ormai questa eliminazione dei migranti che vorrebbero arrivare in Europa, uno strumento di “gestione dei flussi migratori”, diffusamente accettato dalla maggioranza dell’opinione pubblica europea. Si assiste così alla negazione sostanziale del diritto di asilo, in quanto si impedisce persino di raggiungere le frontiere di Paesi sicuri nei quali presentare una qualsiasi domanda di protezione, mentre si intensificano gli accordi con i Paesi di transito che considerano indistintamente tutti i migranti come “illegali” ed operano respingimenti collettivi a rimbalzo e tortura per delega.
Gli anni della svolta letale e militare delle politiche migratorie in Europa si collocano tra il 2016 ed il 2019, dopo le intese tra gli Stati membri dell’Unione europea con la Turchia ed il Memorandum Italia-Libia del 2017, e corrispondono all’affermazione elettorale di partiti nazionalisti e populisti, prima a livello nazionale, poi a livello europeo. Dopo gli accordi conclusi dall’Italia con la Libia nel 2017, votati dal Parlamento italiano ed il Codice di condotta Minniti e la serie di azioni penali contro le Ong, allora impegnate nei soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale, il governo Conte-Salvini, trasponeva in disposizioni di legge gli indirizzi politici amministrativi che determinavano una diffusa criminalizzazione degli interventi umanitari nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale.
Queste politiche nazionali vengono proseguite e “legittimate” da vari Piani europei adottati dal Consiglio e dalla Commissione europea nel corso degli anni, soprattutto a partire dal 2015, e poi con la proposta del Patto europeo su migrazioni e asilo del settembre 2020. L’Unione europea si è limitata a sostenere economicamente e politicamente le prassi repressive affidate a Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, che tradisce persino i doveri di soccorso stabiliti dal Regolamento n. 656 del 2014 e collabora attivamente nei respingimenti collettivi. Nei vertici europei più recenti, i governi dei Paesi a vocazione sovranista e nazionalista, ormai orientati verso politiche di guerra e di morte con il motto del “rafforzamento delle frontiere esterne”, chiedono all’Unione europea di finanziare muri, torri di guardia e sorveglianza elettronica – contro profughi disarmati -, attingendo direttamente al bilancio Ue, cioè ai soldi dei cittadini europei. Un ulteriore inasprimento della politica e della diffusa cultura anti-migrante, che evidenzia il carattere organico, e strutturale, alle istituzioni europee, delle violazioni in corso. Le responsabilità più gravi si continuano però a riscontrare a livello delle autorità politiche e militari dei singoli Stati.
Dal 2016 con il rafforzamento – e il diretto coordinamento europeo e italiano – della sedicente Guardia costiera libica sono infatti aumentati in modo esponenziale il numero di intercettazioni in acque internazionali e le operazioni di pull-backs verso la Libia.
I respingimenti, che sono stati nascosti all’opinione pubblica con una martellante campagna anti Ong hanno dimostrato e continuano a dimostrare una grave complicità negli abusi inflitti ai migranti ripresi dalla autorità libiche. Le sparizioni forzate, le torture e gli altri trattamenti inumani e degradanti delle persone in fuga, di fatto sono utilizzati come strumenti di controllo e disincentivazione delle migrazioni…
(Estratto dall’introduzione di Flore Murard-Yovanovitch al libro di Left di aprile Rari nantes. Il naufragio dell’umanità scritto con Fulvio Vassallo Paleologo)
Il libro è disponibile qui