Bruxelles dice sì all'utilizzo di fondi, anche del Pnrr, per l'acquisto e la produzione di armi. E' un provvedimento che si inserisce nell’ottica di una escalation del conflitto in Ucraina, dice la deputata di Alleanza Verdi e sinistra, la formazione che ha organizzato lo scorso 11 maggio un denso seminario su questi temi

La decisone del Parlamento europeo di attingere perfino ai solidi dei Pnrr e ai fondi di coesione per sostenere la produzione di armi da inviare in Ucraina. L’escalation militare e la mancanza di una iniziativa diplomatica da parte dell’Europa per il cessate il fuoco e la costruzione di una pace giusta. La stessa parola pace ostracizzata dai media mainstreim in Italia e da gran parte delle forze politiche, nonostante il sentimento popolare contrario all’ulteriore invio di armi all’Ucraina. Sono tante le questioni urgenti, non più eludibili che l’Alleanza Verdi e sinistra solleva per un più ampio dibattito pubblico. Sono al centro anche del seminario dal titolo La forza della pace che organizza oggi, 11 maggio, a Roma. Ne abbiamo parlato con la deputata Elisabetta Piccolotti.

Onorevole Piccolotti l’invasione russa dell’Ucraina ha prodotto una corsa accelerata al riarmo con quali conseguenze per il futuro dell’Europa?

La risposta degli Stati europei all’invasione russa dell’Ucraina è stata una sola: mandare armi. La discussione si è spostata solo sulla tipologia e le quantità di armi da inviare, senza una strategia per raggiungere la pace. Una prospettiva di guerra ad oltranza che contraddice i valori fondanti della stessa Unione europea. È chiaro che questa prospettiva invita gli Stati a produrre più armi con buona pace di chi ha sostenuto o sosteneva le idee di disarmo. Un paradigma che può essere riproposto anche in futuro, quello di un’Europa fucina di armi e non costruttrice di pace. Una visione che pensavamo superata dalla storia.

Mentre perfino la Cina si muove cercando una soluzione diplomatica (pur fra mille ambiguità) l’Europa ha abdicato? Perché non si è nemmeno tentato di costruire una grande conferenza di pace?

Questo è il punto centrale. L’Europa non si è assunta il ruolo di forza di pace. Vi ha rinunciato perché da una parte, di fatto, ha applicato una visione ancillare a quella della Nato, dall’altra perché non avendo una comune strategia di politica estera e di difesa ha seguito le inclinazioni degli Stati più forti. Lasciare il ruolo di arbitro a forze illiberali come Turchia o Cina è una sconfitta senza precedenti della diplomazia europea. L’Italia non ha fatto niente per modificare lo stato delle cose adeguandosi e anzi rilanciando. Sembra una corsa al primo della classe a chi fornisce più armi, senza un’idea di pace.

Il Parlamento europeo ha approvato una procedura d’urgenza che rafforza la fornitura di munizioni all’Ucraina. Anche il Pd l’ha votata. Che ne pensa?

La procedura del Parlamento europeo si inserisce nell’ottica di cui sopra. Guerra ad oltranza. E si parla di forniture previste per gli anni a venire. Da questo punto di vista il sia dal governo Draghi che dal Pd non c’è mai stata una presa di distanza ma solo l’accettazione dello stato delle cose. Spero che questo atteggiamento cambi, in Italia come in Europa, a partire dalle forze progressiste.

L’Europa non esclude il ricorso a fondi del Pnrr e di coesione per questo scopo, una sua opinione?

Si chiama Piano di ripresa e resilienza. Io non credo a una ripresa e a una resilienza che parta dalle armi. I soldi del Pnrr possono fare tante per la sanità, per la scuola, per l’emergenza abitativa, per li caro affitti, per il welfare, per i milioni di famiglie in difficoltà, per la transizione energetica verso l’energia pulita. Se sprechiamo questi fondi nella produzione di strumenti di morte abbiamo sbagliato tutto e perdiamo un’occasione che non si ripresenterà. I fondi del Pnrr devono provare a colmare le tante diseguaglianze del nostro Paese, non produrre altre bombe.

L’opinione pubblica in Italia è stata ed è largamente contraria all’invio di armi ma la parola pace è ostracizzata da larga parte della classe politica e dai media mainstream. È un deficit di democrazia?

Pace è diventata una parola proibita nel dibattito e sui grandi giornali. Non lo è tra le persone. È per questo che abbiamo organizzato questo momento di confronto tra le forze pacifiste ed è per questo che ci impegniamo da un anno fuori e dentro le istituzioni. Ci hanno detto che siamo putiniani, a noi che vediamo Putin come il più grande nemico della democrazia e della libertà. Dobbiamo dare voce al popolo della pace che è maggioritario nel nostro paese. Per cambiare le cose, per un futuro di pace e disarmo, in Italia e in Europa.

 

L’appuntamento

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Direttore responsabile di Left. Ho lavorato in giornali di diverso orientamento, da Liberazione a La Nazione, scrivendo di letteratura e arte. Nella redazione di Avvenimenti dal 2002 e dal 2006 a Left occupandomi di cultura e scienza, prima come caposervizio, poi come caporedattore.