In occasione della nuova edizione di Destra e sinistra di Norberto Bobbio ripubblichiamo la recensione di questo importante testo firmata da Noemi Ghetti che uscì su Left nel 2010 in occasione del centenario della nascita del filosofo e pensatore politico. Riproposto dall’editore Donzelli con una nuova prefazione di Nadia Urbinati, a trent’anni dalla prima fortunata edizione il testo di Bobbio non cessa di stupire per la persistente attualità della ricerca e per l’ottimismo di fondo che la anima
Rileggere le cose non fa mai male: si capiscono meglio. Mai come in questi tempi suona opportuno l’invito, rivolto nei giorni scorsi da un professore agli studenti in un’affollata aula universitaria. L’iniziativa dell’editore Donzelli di proporre, nell’ambito delle celebrazioni per il contenario della nascita di Norberto Bobbio, una nuova edizione del saggio Destra e sinistra – Ragioni e significati di una distinzione politica con un’introduzione di Nadia Urbinati, appare di attualità e offre un forte stimolo di riflessione, anche alla luce degli avvenimenti che investono la vita pubblica italiana in questi giorni. Filosofo e politologo, per molti decenni impegnato nell’insegnamento universitario, pubblicò all’età di ottantacinque anni la prima edizione del «libretto» destinato a restare, tra tutti i suoi lavori, il testo più discusso e famoso. Uscito in libreria il 26 febbraio 1994, fu un successo editoriale senza precedenti: diecimila copie vendute in tre giorni, centomila in due mesi, più di trecentomila nel primo anno. E poi, traduzioni in ben 27 lingue straniere.
Il muro era caduto da cinque anni, l’Italia era immersa nella prima stagione di Tangentopoli e assistevamo attoniti la “discesa in campo” del cavaliere che, a fine marzo, conseguì la prima vittoria elettorale. A maggio dello stesso anno Bobbio, che non cessava di stupirsi dell’imprevedibile fortuna del libro, in una lettera a Carmine Donzelli notava con amaro umorismo: «Andiamo avanti con l’Italia berlusconizzata e con questo governo, per il quale ho scritto: Sì, ci ho riflettuto: / avvenga quel che avvenga. / La gente l’ha voluto / ed ora se lo tenga». Parole sulle quali ci tocca interrogarci ancora oggi, a sei anni dalla sua scomparsa, avvenuta nel 2004.
Ma più impressionante ancora è l’attualità della ricerca che Bobbio svolge sulla dicotomia tra destra e sinistra, «civettando» continuamente, come egli stesso scrive, con la logica. Una logica deduttiva limpida e mai astratta sostiene l’argomentazione, che compone una straordinaria precisione linguistica con una fine capacità di osservazione, anche psicologica. Perché, come scrive a sorpresa il filosofo che fu definito un illuminista del Novecento, «non c’è ideale che non sia acceso da una grande passione. La ragione, o meglio il ragionamento che adduce argomenti pro e contro per giustificare le scelte di ciascuno di fronte agli altri, e prima di tutto verso se stessi, viene dopo. Per questo i grandi ideali resistono al tempo e al mutar delle circostanze, e sono l’uno all’altro, ad onta dei buoni uffici della ragione conciliatrice, irriducibili».
Quando cadde il fascismo, ricorda Bobbio, la destra sembrò essere quasi scomparsa: con la dissoluzione dei regimi comunisti la sinistra scende e sale la destra. E tuttavia i termini antitetici della diade hanno bisogno l’uno dell’altro per esistere. La questione discussa è dunque se la distinzione storica tra destra e sinistra, metafora spaziale che dalla Rivoluzione francese per due secoli è servita a dividere l’universo politico in due parti opposte, nel tempo della cosiddetta crisi delle ideologie abbia ancora ragione di essere utilizzata, nonostante le argomentazioni tese a negarla. E nonostante la confusione della sinistra con la destra e della destra con la sinistra, verificatasi a più riprese nel Novecento. Come quando agli inizi del secolo intellettuali socialisti si fecero teorici del fascismo. O quando nel ’68 furono adottati a sinistra “maestri del pensiero” come Heidegger, dal passato di chiara compromissione nazista. O quando, fallito quel movimento, intellettuali ex-sessantottini passarono alle file della destra. O da quando, recentemente, politici di destra hanno preso ad appropriarsi di posizioni tradizionalmente proprie della sinistra. Fenomeno che, per alcuni, sarebbe indicativo del fatto che non esistono più differenze che meritino di essere contrassegnate con nomi diversi.
Eguaglianza e libertà: i due termini hanno un senso emotivamente fortissimo, ma un significato descrittivo generico, e un contenuto spesso antitetico, che Bobbio indaga da diverse angolazioni.
La tesi centrale del saggio è che sinistra e destra restano tuttora irriducibili l’una all’altra alla luce dell’opposizione di eguaglianza-diseguaglianza, mentre la coppia oppositiva libertà-autoritarismo serve piuttosto a distinguere i moderati dagli estremisti. Fascismo e bolscevismo, accomunati da concezioni egualmente «profetiche» della storia, condividono infatti per Bobbio il disprezzo democratico e l’uso della violenza, teorizzato come positivo. La teoria degli “opposti estremismi”, che prima della caduta del comunismo molti intellettuali trovavano inaccettabile, è secondo lui dimostrata in modo inoppugnabile dalla professione autoritaria e antilibertaria di quelle dottrine. Una dialettica democratica, dunque non violenta, tra destra e sinistra, non può dunque che svolgersi tra liberalismo e socialismo. Ed Bobbio non esita a dichiarare di essersi sempre dimostrato un uomo di sinistra.
Ma che cosa si intende per eguaglianza? L’eguaglianza radicale di tutti in tutto, che è il nerbo del pensiero degli utopisti, è una formulazione non solo astratta, ma che storicamente si è rivelata funesta, l’«utopia capovolta» del comunismo reale. Un contenitore vuoto, come del resto l’idea della libertà assoluta. Con la differenza che la libertà è sempre in relazione con un altro termine. «Posso dire: io sono libero, ma non: io sono eguale» è la semplice ma fondamentale osservazione di Bobbio. L’idea dell’eguaglianza implica sempre il rapporto con altri esseri umani. E tuttavia il metodo del pensiero razionale, che nello studio della realtà umana si ferma alla coscienza e al comportamento, pur nell’assoluta onestà d’intenti mostra, anche in questo saggio, un suo limite. E, nell’impossibilità di comporre eguaglianza e diversità degli esseri umani secondo un criterio universale, deve accontentarsi di definire l’eguaglianza come “tendenza” specifica della sinistra. Un limite evidente se si consideri il rapporto uomo-donna, che necessita di comporre i termini uguale-diverso: sul piano razionale un paradosso, una sfida all’aristotelico principio di non contraddizione, a cui Bobbio mostra di sapersi avvicinare per altra via.
L’indagine offre infatti, alla fine del millennio scorso, molte folgoranti premonizioni. Come quando ad esempio il politologo pone, ad una sinistra operaista sorda, la questione dell’immigrazione. Nel «pianeta dei naufraghi» il problema dell’eguaglianza, egli avverte, rimane non risolto in tutta la sua gravità. L’affascinante ideale dell’eguaglianza è stato, egli conclude, la stella polare a cui ha guardato e continua a guardare la sinistra, che non solo non ha compiuto il suo cammino, ma paradossalmente, caduto il comunismo, lo ha appena iniziato. L’umanità, affermava ottimisticamente Bobbio nel 1998, non è giunta alla “fine della storia”, ma è forse soltanto al suo principio. Il processo di emancipazione delle donne era infatti, per lui, la più grande rivoluzione del nostro tempo: «Mai come nella nostra epoca sono state messe in discussione le tre fonti principali della disuguaglianza: la classe, la razza, il sesso. La graduale parificazione delle donne agli uomini, prima nella piccola società familiare, poi nella più grande società civile e politica, è uno dei segni più certo dell’inarrestabile cammino del genere umano verso l’eguaglianza». Di questa sua lungimiranza, tra le altre la più generosa, noi donne gli siamo particolarmente riconoscenti. (Da Left n. 10, 12 marzo 2010).