Sabrin e Ayman sono una ragazza e un ragazzo palestinesi. Lei di Jenin, ma abita a Ramallah, lui nato a Gerusalemme dove vive. Una comune passione per la cultura e l’arte li ha portati a Roma, nell’ambito di uno scambio di residenze artistiche tra Roma e Gerusalemme. Sono i protagonisti palestinesi di un progetto chiamato The Human Bridge, promosso da varie associazioni, palestinesi e italiane, in collaborazione con il Palestine Museum US fondato e diretto da Feisal Saleh, già incontrato a Venezia, in occasione della Biennale in cui presentava il suo “From Palestine with art”.
In un mondo in cui crescono muri e guerre, il progetto Il ponte umano (The Human Bridge), rappresenta un tentativo controcorrente di costruire ponti umani, mettendo in relazione creativa artisti palestinesi e italiani. I ponti umani sono quelli che, in questo caso attraverso l’arte, vogliono attraversare i confini imposti da scelte politiche e culturali. Lo sfondo immaginato è il Mediterraneo spazio unitario, ma luogo di crimini razzisti, dove realizzare una navigazione sicura, valorizzando le abilità dei popoli che vivono affacciati sulle sue sponde. L’iniziativa ha anche l’ambizione di contribuire alla conoscenza e comprensione della situazione culturale e socio politica in Palestina, combattendo facili e purtroppo diffusi stereotipi, attraverso le creazioni e le voci dei suoi protagonisti, con un esempio concreto di collaborazione tra soggetti che abitano le due sponde del Mediterraneo, offrendo agli artisti l’opportunità di lavorare insieme, nelle città in cui abitano. facendo valere la centralità delle connessioni reali tra le persone e dei rapporti umani, in un tempo dominato dal “virtuale”.
Sabrin Haj Ahmad e Ayman Khalil Alayan, nelle loro residenze di 10 giorni, presso gli studi degli artisti italiani Solveig Cogliani e Alessandro Calizza, hanno creato opere presentate il 28 maggio a conclusione della prima parte del progetto nella bella e accogliente Galleria delle Arti di San Lorenzo, di fronte a un folto pubblico, molto partecipe.
Giovani, belli, emozionati, hanno coinvolto e commosso, raccontando il senso del loro lavoro, ispirato, in modi diversi, dalla situazione che vivono nella terra occupata di Palestina. Se cultura politica e società sono sempre interdipendenti, in Palestina lo sono di più, e drammaticamente. Nei momenti gioiosi della mostra, ho pensato al mio recente viaggio tra Ramallah e Jenin, dove metà del Festival di musica di Al Kamandjati, è stata cancellata, prima per la morte da sciopero della fame di Adnan Khader e poi per l’uccisione da parte dell’esercito israeliano di tre giovani a Nablus.
La libertà di movimento è il tema centrale dei lavori, su carta e tela, di Sabrin, artista visiva, laureata in Belle Arti alla An-Najah National University, attualmente studentessa di un master in Comunicazione e letteratura interculturale presso la Arab American University di Ramallah. Lo illustra con parole semplici e appassionate: “Come donna, in Palestina, terra colonizzata, non ho potuto camminare come una cosa normale. Ho sempre dovuto prendere un cammino nascosto, un percorso più lungo, un percorso colonizzato. Reimparando e praticando l’atto del camminare, miro a decolonizzare il mio corpo e i dintorni naturali, passo per passo, ala per ala, per questo i miei lavori sono multicolori, e rappresentano il volo di uccelli. Il colonialismo fin dall’inizio ha avuto effetti profondi sull’ambiente che ci circonda: ci mancano acqua e spazio, quindi anche gli animali, che non possono vivere in questa terra. I miei lavori vogliono dire che la liberazione delle donne e della natura sono connesse.” Ma – le chiedo – la liberazione delle donne riguarda anche la società palestinese? “Certo, è tutto un sistema dove colonialismo e patriarcato sono legati, per questo la lotta di liberazione delle donne va intrecciata con quella della natura”. Infine, qualcuno dal pubblico le chiede di leggere in arabo la poesia di Mahmoud Darwish, “Come non fa un turista straniero” che ha al centro il tema del camminare nella natura, a cui si ispira uno dei suoi lavori, “the sunbird”, realizzato su tela insieme a Solveig Cogliani, artista italiana.
Ayman Alayan Khalil, appassionato di arte e pittura sin dall’infanzia, scultore e pittore, affascina con la presentazione delle sue opere, cominciando dal nome: Tatriz, il ricamo tradizionale palestinese. “I fili intrecciati sopra reticolati di fil di ferro, esprimono un dialogo tra materiali diversi e la mia esperienza. Significano due cose per me, entrambe legate all’identità: la connessione con generazioni precedenti, attraverso il ricamo che le donne, anche le mie nonne e bisnonne facevano, a Ramallah come a Hebron. Io ho voluto intrecciare fili con i colori della bandiera palestinese, per sottolineare la mia identità di palestinese. Ma che significa – gli chiedo – il reticolato di ferro?” Anche questo esprime un legame familiare, ma non solo. Il richiamo alla mia esperienza di bambino, quando vedevo mio zio e mio padre usare il filo di ferro per costruire gabbie per uccelli, polli; e il ricordo della gabbia esprime anche il senso di imprigionamento che ogni palestinese vive nella nostra terra occupata.
Il tatriz è al centro anche dell’altro lavoro, un dipinto su legno che invece allude, in un certo senso, all’unità palestinese. Infatti ho unito, mescolandoli, i diversi stili del ricamo di Gaza e Ramallah, ovvero di due città i cui abitanti oggi non possono mai incontrarsi, separati a causa dell’occupazione e dell’assedio israeliani”.
Il progetto nasce dalla collaborazione tra la Fondazione Al Ma’Mal, con sede in una vecchia fabbrica di piastrelle all’nterno della Città Vecchia di Gerusalemme; il Palestine Museum US creato e diretto da Faisal Saleh, il primo museo palestinese nell’ emisfero occidentale; in Italia: San Lorenzo Art district (Sa.L.A.D) diretto da Alessandro Calizza, un’ “insalata mista dell’arte”, dove persone, luoghi e attività diverse si incontrano, si mescolano o semplicemente convivono; Assopace Palestina Odv, Organizzazione di volontariato, presieduta da Luisa Morgantini, che ha tra i suoi fini la promozione di progetti finalizzati al rispetto e alla promozione dei diritti umani e delle libertà dei popoli e delle donne, alla pratica della nonviolenza; “Cultura è Libertà, una campagna per la Palestina Odv” presieduta da Alessandra Mecozzi, impegnata nella promozione della cultura palestinese in Italia, anche per combattere stereotipi negativi correnti e raccogliere fondi a sostegno di progetti culturali di giovani in Palestina; l’associazione Unproduction, Associazione culturale senza scopo di lucro, nata un anno fa nell’atelier di Solveig Cogliani. Intende contribuire allo sviluppo artistico, culturale e civile dei cittadini e alla più ampia diffusione della democrazia e della solidarietà nei rapporti umani.