Scuola pubblica e ricerca definanziate e affossate dal governo. I rischi della deriva presidenzialista. La mancata separazione fra Stato e Chiesa per “imbrigliare i cervelli”. L’acuta analisi dell’astrofisica Margherita Hack, intervistata da Federico Tulli su Left il 9 aprile 2010, ci aiuta a capire come siamo arrivati a un governo di destra-destra guidato da Meloni.
Quando l’11 febbraio 1950 Pietro Calamandrei pronunciò il suo famoso discorso in difesa della scuola pubblica (v. estratto alla fine di questo articolo, ndr) non immaginava che sessant’anni dopo il governo Berlusconi avrebbe reso il suo discorso ancor più drammaticamente attuale riguardo l’epoca in cui lui parlò. «Il disegno dell’odierno centrodestra aderisce in maniera inquietante al quadro delineato da Calamandrei – osserva l’astrofisica Margherita Hack -. Una scuola pubblica indebolita per favorire scuole private dove formare le future leve di un partito “unico” o di una setta, è fondamentale nel gioco di chi decide di prendersi il Paese e trattarlo a proprio uso e consumo. Non solo. Una scuola pubblica malfunzionante è essenziale per depotenziare l’intero sistema dell’istruzione, compreso quello che sfocia nella ricerca». Perché? «Perché nell’era dell’innovazione un Paese senza ricercatori validi è senza futuro, immobile, inerte. Facile da controllare». Per ricostruire come sia stato possibile arrivare oggi, con la riforma Gelmini, a ritrovare la scuola, l’università, la scienza (e quindi la società civile italiana) nelle condizioni paventate nel 1950 da Calamandrei, la Hack ha pubblicato per Rizzoli Libera scienza in libero Stato. Un breve saggio in cui la famosa scienziata, nota anche per il suo impegno politico (alle ultime regionali del Lazio è stata l’unica eletta nella lista della Federazione per la sinistra), analizza quattro riforme dell’istruzione che si sono succedute sotto altrettanti governi, evidenziando le incongruenze e i grossolani errori, mai corretti, semmai reiterati, che hanno contribuito pesantemente a far colare a picco un sistema, dilapidando in pochi decenni l’eredità dei più grandi pensatori del passato.
Professoressa Hack, come mai in Italia la ricerca non funziona più?
Perché non è libera. Perché, fatte salve alcune oasi, le cosiddette riforme dell’università che hanno portato con sé continui tagli alla ricerca e ai posti dei ricercatori, hanno contribuito a imbrigliarla, ad affossarla.
Perché la scienza deve essere libera?
I motivi sono infiniti. Guardiamo per esempio all’importanza dell’innovazione. Questa si ottiene dalla ricerca applicata che a sua volta non può prescindere dalla ricerca pura, cioè da quella libera. Quella che si fa senza porsi scopi precisi di una resa immediata ma solo per la “curiosità” di conoscere le leggi che regolano il mondo. Magari seguendo una vaga intuizione. Ma poi, a ben vedere, chi più invoca la necessità d’innovare sono quegli stessi politici che producono leggi capaci solo di generare l’effetto contrario.
Una strana contraddizione…
È molto più che strana: è pericolosa. Le prime a non essere libere sono le nostre istituzioni. Succubi del Vaticano, stanno mettendo in pericolo la salute dei cittadini. Penso alla legge 40 sulla fecondazione assistita ma anche all’assurdo divieto di finanziare con fondi pubblici la ricerca sulle cellule staminali embrionali. Eppure, secondo la convinzione unanime della biofisica mondiale permetterebbero di fare progressi straordinari in medicina. Senza contare l’importanza rappresentata dalla possibilità di metterle a confronto con i risultati degli studi sulle cellule adulte.
Lei scrive che la riforma deve partire dal basso.
L’università vive se ci sono gli studenti. E i giovani ricercatori sono la linfa dei laboratori. Sono loro che hanno più entusiasmo, più idee. Le grandi scoperte statisticamente vengono proprio dai giovani. Ma per avere buoni studenti ed eccellenti ricercatori bisogna partire dalle scuole elementari. Erano uno dei fiori all’occhiello dell’istruzione e invece si è cominciato a umiliarle. Mentre ai licei sono toccate riforme vere solo sulla carta. Ogni ministro che arriva fa la sua riforma. A questo si aggiunge il continuo taglio dei fondi all’istruzione pubblica. E il cerchio così è chiuso, specie se al contempo si favoriscono le scuole private. Che non a caso sono in maggioranza cattoliche.
E qui torna il discorso di Calamandrei…
Penalizzare il pubblico per favorire il privato è proprio quanto sta accadendo oggi. Per la scuola ma anche per la sanità, con gli ospedali e le cliniche private, stanno realizzando quello che poi era il programma della P2. Quando parlava Calamandrei le ferite causate dal fascismo erano più che vive. La situazione di oggi è peggiore. All’epoca la Democrazia cristiana era molto più laica. E abbiamo ministri che intervengono su questioni di cui il governo non ha competenze. Decidere su cosa fare ricerca spetta allo scienziato. Imporre cosa andare a ricercare – come nel caso del bando pubblico 2009 per i fondi alla ricerca sulle staminali – è un’invasione di campo che rivela l’esistenza di una forma di dittatura “morbida”.
Se dovesse passare anche il presidenzialismo…
L’opinione pubblica sta perdendo la capacità di indignarsi. Come dimostrano la tranquillità con cui stanno passando da un decennio le leggi ad personam, e pure gli scandali pedofili in cui è coinvolto il Vaticano. All’estero, ovunque si fanno dibattiti aperti tra istituzioni e cittadini. La gente chiede, vuol sapere. Qui invece si ordina di non dare retta ai «chiacchericci» e nessuno reagisce.
Veniamo alla scienza. C’è un’allarmante inerzia anche tra i ricercatori?
È vero. A eccezione di Elena Cattaneo e delle sue due colleghe che si sono esposte con i ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato di fronte al divieto imposto dal ministro Sacconi, pensavo che anche altri avrebbero fatto lo stesso la ricerca sulle cellule embrionali. Ci sono i fondi europei che lo permettono e la legge 40 lascia degli spiragli. E invece no. Non c’è stata alcuna rivolta contro questa assurdità.
Come se ne esce? Nel suo libro propone delle soluzioni…
Sono una cittadina con diritto di parola e finché sarà possibile lo esercito. Ma voci isolate servono a poco se anche gli altri cittadini non si ribellano. Se i partiti politici di sinistra non reagiscono. Più che scrivere e parlare per cercare di risvegliare le coscienze non saprei cosa fare. Meno male che il presidente Napolitano non ha firmato l’ultimo decreto. Il centrodestra avrebbe riportato i diritti dei lavoratori all’inizio dell’800. Ma poi la sinistra si è già dichiarata disposta a discutere sul presidenzialismo. Con dei paletti, è vero, ma sempre di presidenzialismo si tratta. Immaginiamo Berlusconi presidente italiano. Nemmeno nel Paese delle banane…
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«Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora, il partito dominante segue un’altra strada (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si danno dei premi, o si propone di dare dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. A “quelle” scuole private. Gli esami sono più facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per dare la prevalenza alle sue scuole private». Pietro Calamandrei