Il programma ambientale dell’esecutivo è un ritorno al passato. E lo si vede nel mancato impulso alle fonti rinnovabili, nel continuo osteggiare le politiche europee di transizione energetica, nell’ossessione della destra per le opere faraoniche invece di migliorare le infrastrutture e contrastare il dissesto idrogeologico
Quando lo scorso ottobre il governo si è presentato al Parlamento per la fiducia, la premier Giorgia Meloni nel suo discorso programmatico ha affermato: «Non c’è ambientalista più vero di un conservatore. A differenza dell’ambientalismo ideologico, noi tuteliamo l’ambiente con l’uomo al centro». L’antropocene anche nelle politiche per la natura e il contrasto della crisi climatica. Era già tutto qui il programma ambientale di questo governo di destra-centro. E non a caso uno dei primi provvedimenti del governo in materia è stato il contestato decreto legge n.11/2023. Ossia il decreto che ha stroncato il superbonus e gli altri bonus edilizi escludendo la possibilità di sconto in fattura e cessione del credito. Uno strumento perfettibile, che si sarebbe potuto rendere più equo ed efficace legandolo in modo più stringente alle case popolari e ai miglioramenti delle performance energetiche conseguite, ma che più di tutti ha aiutato e avrebbe potuto aiutare ancora gli italiani a rendere le case più efficienti, tagliando bollette energetiche ed emissioni. Praticamente un frontale contro la più importante misura di rilancio economico e tutela dell’ambiente adottata nella precedente legislatura. Basti pensare che il Cresme (Centro di ricerche economiche, sociologiche e di mercato) calcola l’impatto del superbonus da quando è stato introdotto fino a ottobre dell’anno scorso in 130 miliardi di euro. E sempre grazie a questa misura calcola che nel 2022 siano stati attivati 587mila occupati tra il settore costruzioni e l’indotto.

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