«Non ci abbattiamo, non ci fermiamo, anche se le lacrime non bastano per esprimere il dolore». Il racconto in prima persona di una giovane avvocata, figlia di emigrati dopo la presa del potere di Khomeini. Da 44 anni, scrive, gli iraniani sono costretti a vivere in un Paese che non riconoscono più
Ne abbiamo sentito parlare tanto nei primi mesi, da settembre a novembre. Purtroppo, ultimamente l’attenzione sulle vicende della rivoluzione del movimento Donna, Vita, Libertà è calata. Ma le donne iraniane non si fermano. Sono forti, non si abbattono. Neanche davanti alle intimidazioni del regime di Teheran: soltanto nel 2023 sono state giustiziate più di 270 persone, per una media di circa 10 esecuzioni ogni settimana. Dal 6 al 12 giugno ne sono state eseguite dieci. Dieci in 7 giorni. Le lacrime non bastano per esprimere il dolore lancinante che si prova. Le condanne a morte sono all’ordine del giorno. I capi di accusa più frequenti sono “offese contro Dio”, “corruzione sulla terra”, “blasfemia”. Mi tornano in mente le parole dell’avvocata ed attivista dei diritti umani Nasrin Sotoudeh, tratte dal film Taxi Teheran (2018) di Jafar Panahi a proposito del regime iraniano: «...La prima cosa che fanno è trasformarti in un nemico: sei un agente del Mossad, dei servizi segreti inglesi; poi aggiungono a questo una bella accusa di comportamento immorale; trasformano la tua vita in un inferno. Ed uscire di prigione non basta, perché il mondo esterno è solo una prigione più grande…». Dunque, sorge spontanea una domanda: a chi pesa di più vivere in questa prigione? Certamente, sono le donne le più colpite. E allora occorre chiedersi: chi sono le donne della rivoluzione del 2022?

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