Se Berlusconi ha mai avuto una politica di attenzione verso il Mezzogiorno questa è stata certamente fallimentare. Vero è piuttosto che i meridionali, attratti dalla suo vitalismo e da un’esibita capacità di fare, gli hanno tributato negli anni del suo stare sulla scena politica nazionale un consenso che proprio non avrebbe meritato

La morte di Silvio Berlusconi ha sorpreso tutti gli italiani. Aveva promesso di morire a 150 anni e non ha superato gli 87, sbalordendo soprattutto i suoi sostenitori che in quasi 30 anni di attività politica non hanno mai nutrito dubbi sulle promesse del loro leader. Ha provocato amarezza e cruccio soprattutto a Sud, almeno a giudicare dai giornali locali. Calabria Live ha ricordato che il Mezzogiorno lo ha amato e che si deve a lui l’apertura del primo cantiere per il ponte sullo stretto di Messina che poi Mario Monti («con visione miope») cancellò. Il Mattino di Napoli, in prima pagina, ha affidato il ricordo al suo editore, Francesco Gaetano Caltagirone, pieno di ammirazione per il coraggio mostrato dall’imprenditore-politico appena scomparso. Ancora più sofferto il rimpianto del Nuovo Quotidiano di Bari che ha titolato in apertura “Il suo ultimo messaggio: «Il Sud priorità per l’Italia»”; rievocando le parole di fiducia sul futuro del Mezzogiorno che, secondo la marchesa Giuseppina Alfieri, Cavour avrebbe pronunciato nel delirio poco prima di morire, rivolgendo un pensiero alle province meridionali da poco acquisite al regno sardo.

Mentre viene aperto il testamento per sciogliere le tante questioni aperte sulla sua eredità patrimoniale, si continua a interrogarci su di un’altra eredità di Berlusconi, quella politica e morale. Noi vorremmo, più espressamente, riflettere sul lascito che egli fa al Mezzogiorno perché è in quest’area del Paese che il partito da lui fondato insieme a Marcello Dell’Utri ha avuto maggior successo e ancor oggi conserva il suo nerbo elettorale. Oltre la metà dei deputati e dei senatori di Forza Italia vengono, infatti, dalle regioni meridionali, Lazio incluso. Meglio di tutte fa la Calabria, usualmente in coda a tutte le classifiche, dove il partito di Berlusconi, oltre ad esprimere il “governatore”, gode del massimo consenso elettorale con oltre il 15% delle preferenze. Ma cos’ha fatto davvero Berlusconi per il Mezzogiorno nei lunghi anni del suo potere?

A marzo del 1994 Berlusconi vince le sue prime elezioni alleandosi con i neofascisti e la Lega Nord, un partito inequivocabilmente nemico del Mezzogiorno, ma il Berlusconi I dura troppo poco – poco prima del Natale dello stesso anno lo fa cadere, infatti, proprio il partito di Bossi – perché quello che all’epoca era ancora un cavaliere potesse produrre qualcosa di utile. L’anno successivo Bossi vince ogni remora linguistica e parla apertamente di secessione della Padania, l’area geografica che riassume le regioni bagnate dal fiume Po e, per estensione a nord, tutte quelle alpine. Nasce la Lega Nord per l’indipendenza della Padania; una provetta del “dio Po” viene prelevata in Piemonte, ai piedi del Monviso, dove il fiume nasce, e simbolicamente versata a mare dalla Riva degli Schiavoni a Venezia, all’altro capo della pianura padana. Qualche anno dopo Berlusconi, che pure ha giurato dopo il “ribaltone” di non voler più prendere neppure un caffè con l’ex alleato, ricostituisce l’alleanza e va al governo – restando in sella con due esecutivi di fila, il Berlusconi II e il Berlusconi III – per un periodo che sarà il più lungo della storia repubblicana, dal giugno del 2001 al maggio del 2006. A fine legislatura si torna al voto. Berlusconi a questo punto può vantare i risultati ottenuti per il Sud dai suoi governi (vedi i dati sul fondo unico per il Sud)
Incentivi per l’occupazione
Dal 2002 al 2006 gli occupati nel Mezzogiorno passano effettivamente da 7 milioni e 52 mila a 7 milioni e 256 mila con un incremento di oltre 200 mila unità. Tuttavia, contemporaneamente il numero degli occupati nelle regioni meridionali sul totale Italia si riduce di mezzo punto percentuale, dal 29,5% al 29% (Fonte: Istat, Occupazione regolare e irregolare per branca di attività e popolazione). La forbice tra Nord e Sud non si riduce, anzi si amplia.
Mai così tante risorse al Sud
Dal 2002 al 2006 la spesa pubblica in conto capitale (investimenti più trasferimenti) è mediamente del 37%. Nel biennio che precede era stata del 39,5%. Poi è andata sempre peggio. Negli anni del Berlusconi IV il rapporto era già sceso al 35% e nel 2020 è stato del 32,9% (Fonte: Conti pubblici territoriali).
Almeno il 30% di investimenti al Mezzogiorno
La popolazione meridionale (Sud e Isole) rappresenta il 33,7% del totale. Se l’obiettivo fosse stato quello di ridurre lo storico divario fra le due Italie, sarebbe stato necessario imporre investimenti in misura più che proporzionale alla popolazione residente nella parte più arretrata del Paese. Infatti, già la legge 64/86 (Governo Craxi I) aveva fatto obbligo alle amministrazioni dello Stato e alle aziende autonome di riservare al Mezzogiorno una quota non inferiore al 40% delle somme complessive per investimento, anche se poi i soggetti interessati si sono sottratti persino agli obblighi informativi.
Banca del Sud
È nata nel 2006 con l’obiettivo di dare al Sud Italia una banca in grado di raccogliere il risparmio e di reinvestirlo localmente. L’11 giugno 2021 la Banca d’Italia ne ha decretato lo scioglimento dei vertici e l’amministrazione straordinaria dopo che un’ispezione aveva accertato carenze nell’organizzazione e nei controlli interni. Da 1° settembre 2022 le 4 filiali di Banca del Sud (Avellino, Caserta, Napoli, Salerno) sono state acquisite dalla Banca Popolare di Bari. La Banca del Sud si è spenta senza essere mai decollata.
Quando nel 2008 Berlusconi torna al governo per l’ultima volta (Berlusconi IV) potrebbe almeno avviare quello che nel programma di governo per il 2006-2011 aveva definito, non senza ambizione, “Piano decennale straordinario per il superamento della questione meridionale”. Invece nell’occasione regala al Mezzogiorno la legge delega 42/2009 voluta dal ministro Calderoli per l’attuazione del federalismo fiscale.

C’è, comunque, un modo semplice e riassuntivo, per sapere quanto è stato fatto per il Mezzogiorno nel periodo che passerà alla storia come l’età del berlusconismo. Il primo governo Berlusconi si è insediato il 10 maggio 1994, l’ultimo è caduto il 16 novembre 2011. In quest’arco di tempo l’ex cavaliere di Arcore è stato alla guida del Paese per quasi nove anni. Ebbene, quando nel 1994 scende in campo il Pil pro-capite del Mezzogiorno, già in caduta libera dalla fine degli anni Settanta come conseguenza della fine delle politiche meridionaliste, vale il 56,9% di quello del Centro-Nord. Nel 2011, quando si chiude la stagione dei suoi governi, il Pil meridionale ha perso ancora 8 decimi rispetto al Centro-Nord portandosi al 56,1% (Fonte: Svimez, 150 anni di statistiche italiane: Nord e Sud 1861-2011, Il Mulino, Bologna, 2011 – Rapporto 2017). Se Berlusconi ha, dunque, mai avuto una politica di attenzione verso il Mezzogiorno questa è stata certamente fallimentare. Vero è piuttosto che i meridionali, attratti dalla sua energia vitale e da un’esibita capacità di fare, gli hanno tributato negli anni del suo stare sulla scena politica nazionale un consenso che proprio non avrebbe meritato.

L’autore: Pino Ippolito Armino è storico e autore di numerosi libri. Il più recente è Indagine sulla morte di un partigiano (Bollati Boringhieri)

In foto: Silvio Berlusconi all’Epp summit di Bruxelles, 2019 fonte wikipedia