La polizia di regime in Iran spara a distanza di pochi metri mirando agli occhi delle ragazze. Per mesi, dopo l’uccisione nel settembre 2022 della giovane curda iraniana Jina Masha Amini, sono scese in piazza, insieme ai loro compagni, contro il regime guidato dall’ayatollah Khamenei (con il servente presidente conservatore Raisi). Sono state giornate e giornate di straordinaria lotta non violenta al grido “Donna, vita, libertà”. Che il regime ora più che mai vuole reprimere con ogni mezzo.
Nel silenzio della stampa internazionale, la teocrazia iraniana ha continuato a impiccare giovani che non hanno nessuna colpa, “rei” di aver chiesto democrazia, libertà e diritti; ha continuato a stuprare e uccidere ragazze, anche sfregiando i loro volti. (Come documenta anche la missione di inchiesta Onu)
L’impatto di pallini di plastica sparati in faccia dalle “forze dell’ordine” non è meno devastante, anche per il senso che assume. L’intento è accecare e allo stesso tempo marchiare per sempre un’intera generazione.
«Mi ha guardato negli occhi e poi ha premuto il grilletto», racconta Ghazal, attivista iraniana di 21 anni che ha perso un occhio. Dice che il “sorriso” del suo aggressore è stata l’ultima cosa che ha visto, prima del buio. Il suo volto, bellissimo, è diventato virale sui social come immagine di resistenza. Nonostante l’irrimediabile ferita all’occhio Ghazal non si arrende, ci parla di un mondo interiore vivo e vitale che resiste allo sfregio, che non si lascia accecare dall’odio e al contempo non perdona. Come lei Elahe, con un dottorato e una professione avviata, due figli piccoli, colpita agli occhi perché protestava in piazza contro il regime. Al posto dell’occhio accecato ha fatto sbocciare un vitale fiore rosso. Non morire di odio per lo sfregio che si è subito, ma fare una ricerca per capire perché tanta inumana ferocia. Questo è l’obiettivo, senza smettere di lottare per la giustizia e la democrazia. Tramite amici iraniani e una giornalista de Le Iene, almeno lei è riuscita ad arrivare in Italia per farsi curare. Ma sono tante, purtroppo, le richieste che non trovano risposta; nella maggioranza dei casi i ragazzi colpiti agli occhi non riescono a ricevere cure adeguate. Anche perché gli ospedali iraniani sono controllati dal regime e c’è paura a presentarsi. Le ferite agli occhi dei manifestanti presentano lesioni alla retina, gravi danni ai nervi ottici e iridi perforate, sarebbero segnali chiari di protesta negli ospedali presidiati dalle forze repressive. Peggio ancora sarebbe finire nelle carceri iraniane. Uno scenario da incubo di cui scrive la tesoriera del Partito radicale Irene Testa nell’importante libro Azadi. Libertà in Iran in cui raccoglie brucianti testimonianze di attiviste per i diritti umani, giornaliste, manifestanti. Ne abbiamo pubblicato un assaggio su left.it, e vi consigliamo caldamente di leggere il libro perché come pochi racconta la resistenza e la lotta non violenta delle donne iraniane, che non comincia oggi ma – come ci ricorda l’avvocata Sherin Haravi ad apertura di copertina – affonda le radici addirittura nella cultura dell’antica Persia, prima dell’islamizzazione. La religione insieme al patriarcato greco romano sono i convitati di pietra di questa storia di copertina di Left, ambiziosissima, in cui cerchiamo di indagare le molte- e forse solo apparentemente diverse – radici della misoginia che alimenta la repressione delle donne in Iran, in Afghanistan e anche in Italia, democrazia realizzata… dove si registra l’inaccettabile strage di continui femminicidi. Perché tanto accanimento contro le donne? Non abbiamo l’ardire di dare una risposta apodittica, ma di certo con questa storia di copertina – anche con l’aiuto di psichiatri e psicoterapeuti – alziamo interrogativi importanti.
Il coraggio delle ragazze iraniane
Elahe Tavakolian (a sinistra nella foto) e Niloofar Aghaei (a destra), sono state aggredite dalle forze dell’ordine iraniane che gli hanno sparato agli occhi durante manifestazioni di protesta per l’uccisione di Jina Masha Amini da parte della polizia morale. Sono almeno 800 i casi documentati di giovani donne e uomini colpiti con proiettili di gomma, di plastica e pallini da caccia, che possono essere letali. Dopo ciò che hanno subito, Elahe e Niloofar hanno deciso di incontrarsi e hanno pubblicato questa foto su Instagram.
Dal web abbiamo saputo che in Iran nonostante le ferite subite, i giovani colpiti si incontrano segretamente e poi pubblicano foto per portare avanti anche in questo modo la loro rivoluzione culturale e non violenta contro il regime teocratico. Niloofar Aghaei, in particolare, ha pubblicato questo scatto e in calce ha scritto: «Nessuno e niente conquisterà una donna che si sente bene leggendo libri e poesie, ascoltando musica e bevendo caffè… Oggi ho avuto una cara ospite a pranzo, mia cara dea mi sono divertita molto con te».