Le opposizioni hanno presentato in Parlamento la proposta di legge sul salario minimo. Mentre i sondaggi rivelano che gli italiani sono favorevoli a uno strumento che non è un'alternativa ai contratti nazionali ma serve ad evitare "contratti pirata", le destre sostengono che non ce ne sia bisogno

La notizia che le forze di opposizione abbiano presentato in Parlamento una proposta di legge sul salario minimo è un fatto utile, positivo e politicamente rilevante. Perché è vero che la destra continua ad avere un consenso largo, forte di un proprio impianto valoriale e programmatico ben radici nel Paese, ma è anche riscoprendo la “ragione sociale” e gli interessi che la sinistra intende difendere che possiamo invertire questa tendenza.
In Italia abbiamo circa tre milioni di lavoratrici e lavoratori poveri. Circa il 12% della popolazione occupata, compresa tra i 18 e i 64 anni, ha un reddito annuo inferiore alla soglia della cosiddetta “povertà relativa”. Parliamo, per un single, di stipendi pari a 11.500 euro l’anno. I numeri spiegano in modo evidente la dimensione di un fenomeno esplosivo che mina la coesione sociale e territoriale del Paese.

Le ragioni per intervenire si rintracciano, inoltre, nella direttiva che il Parlamento europeo ha approvato nel 2022 per tutelare chi, pur lavorando, si trova in condizioni di indigenza o è a rischio povertà. La direttiva stabilisce procedure per l’adeguatezza dei salari minimi legali che andranno aggiornati ogni due o quattro anni; promuove la contrattazione collettiva per aumentare progressivamente il numero di lavoratori coperti dalla contrattazione stessa; favorisce l’accesso effettivo alla tutela del salario minimo attraverso il rafforzamento degli ispettorati del lavoro nella capacità di prendere provvedimenti nei confronti dei datori di lavoro non conformi.

Sono 22 i Paesi europei che già hanno adottato il salario minimo, con un importo che varia in base alla situazione economica di ogni singola nazione. Tra i Paesi che finora hanno fatto scelte diverse ci sono Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e Italia. Purtroppo.
Salario minimo vuol dire più diritti e più tutele per chi lavora e, in modo particolare, per le giovani generazioni che fanno fatica ad affacciarsi al mondo del lavoro, spesso costrette ad accettare contratti e paghe da fame. A Roma, ad esempio, il salario medio annuo della popolazione occupata sotto i 30 anni è pari a 10.200 euro, già al di sotto della soglia della povertà relativa e ben lontano dai 17mila euro che si guadagnerebbero grazie ad un salario di 9 euro l’ora.

Alla base della proposta di legge, infatti, c’è la soglia di 9 euro l’ora, limite sotto il quale la paga non potrà più scendere. No dunque alle deroghe. No agli infiniti rimandi legislativi e temporali per i rinnovi dei contratti collettivi. Occorre ribadire che la proposta di un salario minimo non è un’alternativa alla contrattazione collettiva, ma piuttosto uno strumento a supporto dei sindacati per contrastare contratti “pirata”, contratti al ribasso, in definitiva per frenare il continuo logoramento e peggioramento delle condizioni lavorative di milioni di persone.

Grazie alla proposta sul salario minimo abbiamo l’occasione di cambiare in meglio le nostre condizioni di lavoro: contrastando la precarietà dilagante, riducendo la povertà sempre più diffusa, mettendo fine alla pratica dello sfruttamento in alcuni particolari settori e in alcune aree del nostro Paese.
Ha ragione chi sostiene che il governo Meloni stia programmando un “incendio sociale”. Abbiamo assistito allo smantellamento del reddito di cittadinanza a furor di propaganda contro chi preferisce stare sul divano piuttosto che andare a lavorare, per poi scoprire che milioni di persone si trovano costrette ad accettare lavori con un paga di 4,50 euro l’ora. E adesso, ministri di questo governo sostengono che non ci sia bisogno di una tale norma sul salario minimo.

La battaglia per il salario minimo è una battaglia di tutti e per tutti. Insieme al reddito di cittadinanza sono strumenti per uscire dal ricatto dei lavori sottopagati e dello sfruttamento. Le forze di opposizione hanno fatto la loro parte. Ora Meloni e il governo devono dimostrare da che parte intendono stare.

L’autore: Claudio Marotta è capogruppo Regione Lazio “Verdi e Sinistra”