Il libro "Vera gioia è vestita di dolore. Lettere a Mattia" raccoglie l’epistolario indirizzato a Marta Maria Pezzoli. Una testimonianza inedita del mondo affettivo e culturale della scrittrice come racconta nella postfazione la curatrice dell’opera per Adelphi
Gli ultimi anni Trenta e i primi Quaranta del Novecento sono, nella biografia della Ortese, quelli di più fervide amicizie femminili. Per almeno tre di esse disponiamo di una splendida documentazione, in forma di epistolario - destinatarie Paola Masino, Adriana Capocci Belmonte, Marta Maria Pezzoli -, che ci permette di esplorare un’area specialmente protetta della vita di una donna quale è quella della confidenza con una sua simile, resa partecipe e testimone di primo grado della propria intimità e del proprio divenire. Tramite di un accrescimento di vitalità e di fiducia in sé stessa, garanzia di letizia e di positività del sentire, del pensare e dell’agire, e sollecitazione a perseguire l’intensità dell’esistenza, l’amica si rivela anche per la Ortese colei che consente di accedere a ciò che vi è di eccellente nelle relazioni umane, lo sguardo leale e limpido, depurato da passioni torbide quali l’invidia e la gelosia, in cui vedersi restituita un’immagine fedele e probante di sé. Ed è presenza così prossima e dolce, così idonea a compartire uno stesso patrimonio di progetti e di affetti da evocare facilmente la dimensione della sorellanza: di una sorellanza, quanto meno, elettiva, ma che ben poco differisce da quella di sangue, stante che nell’uno come nell’altro caso si tratta comunque di un ricevere forza dal non essere sole.

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