Era facile prevederlo, purtroppo. Il 2023 rischia di passare alla storia come uno degli anni più tragici per il numero di vite perse nella guerra che si combatte contro migranti e richiedenti asilo. Soltanto considerando il primo trimestre, secondo l’Onu, è stato l’anno più letale dal 2017 con 441 morti. La strage di Steccato di Cutro ci ha toccato più da vicino ma il naufragio di Pylos, i continui affondamenti di imbarcazioni nei pressi del porto tunisino di Sfax, al largo delle coste libiche o maltesi, persino vicino alle Canarie, in pieno oceano, impongono di comprendere il problema in generale e di non considerare i singoli eventi come isolati. La guerra silenziosa a cui, attivisti di spessore come il diplomatico Enrico Calamai o l’avvocato Arturo Salerni hanno dato la definizione di “migranticidio”, sta subendo un’escalation dovuta, ad avviso di chi scrive, a ragioni prettamente politiche che mostrano il profondo cinismo su cui si basano i principi della fortezza Europa. Man mano che vanno avanti le inchieste, portate avanti più dalla società civile e dal mondo dell’attivismo antirazzista che dalle istituzioni preposte, emerge l’ipotesi affatto peregrina secondo cui le stragi che si sono verificate non siano frutto di fatalità o di errore umano ma di vera e propria scelta. Già da anni il Mediterraneo centrale ed oggi anche l’Egeo, vedono ridotta la presenza di mezzi di soccorso nonostante il passaggio costante di imbarcazioni.
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