Nel Mediterraneo sale drammaticamente il numero dei naufragi. Il patto Ue sull’immigrazione è ambiguo: non rivede il trattato Dublino, punta sui rimpatri e respingimenti in Paesi che ledono i diritti umani. E le destre spingono sulla xenofobia in vista delle elezioni europee del 2024
Era facile prevederlo, purtroppo. Il 2023 rischia di passare alla storia come uno degli anni più tragici per il numero di vite perse nella guerra che si combatte contro migranti e richiedenti asilo. Soltanto considerando il primo trimestre, secondo l’Onu, è stato l’anno più letale dal 2017 con 441 morti. La strage di Steccato di Cutro ci ha toccato più da vicino ma il naufragio di Pylos, i continui affondamenti di imbarcazioni nei pressi del porto tunisino di Sfax, al largo delle coste libiche o maltesi, persino vicino alle Canarie, in pieno oceano, impongono di comprendere il problema in generale e di non considerare i singoli eventi come isolati. La guerra silenziosa a cui, attivisti di spessore come il diplomatico Enrico Calamai o l’avvocato Arturo Salerni hanno dato la definizione di “migranticidio”, sta subendo un’escalation dovuta, ad avviso di chi scrive, a ragioni prettamente politiche che mostrano il profondo cinismo su cui si basano i principi della fortezza Europa. Man mano che vanno avanti le inchieste, portate avanti più dalla società civile e dal mondo dell’attivismo antirazzista che dalle istituzioni preposte, emerge l’ipotesi affatto peregrina secondo cui le stragi che si sono verificate non siano frutto di fatalità o di errore umano ma di vera e propria scelta. Già da anni il Mediterraneo centrale ed oggi anche l’Egeo, vedono ridotta la presenza di mezzi di soccorso nonostante il passaggio costante di imbarcazioni.

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