La città è generatrice di movimento, di complessità, di idee, di bellezza. Lo spazio urbano non è solo materia costruita, è vita sociale, è rappresentazione di qualcosa di immateriale e civile. Ma come si crea e si custodisce?
Non bisogna essere dei geni per rendersi conto che le città non se la passano bene di questi tempi. Uno sguardo allargato, spaziando dalle banlieue parigine alle città storiche di casa nostra, alle inarrestabili sempre più numerose megalopoli, ci propone quasi esclusivamente visioni allarmanti. Non era esattamente in questo mondo che speravamo di vivere; abbiamo sempre creduto che la città fosse l’invenzione umana più importante, generatrice di movimento, di complessità, di idee, di bellezza. Ma qualcosa ci sta facendo deragliare. Cosa sta influendo su questo inarrestabile processo involutivo? Verrebbe da dire: dove ci siamo persi? Ma quest’ultima domanda presuppone l’esistenza di un “prima”, cui attribuire una valenza positiva; ma è veramente così? Ci stiamo ponendo domande difficili, perché ovviamente la situazione è molto variegata, non tutto è omogeneo, ci sono enclaves di grande fascino, ma è l’insieme che tradisce le nostre aspettative, mette in crisi le nostre speranze… Tornano in mente i versi di Brecht (1934): «Nessuno o tutti - o tutto o niente. Non si può salvarsi da sé». Un punto di partenza obbligato per costruire alcune riflessioni non può che partire dalla pandemia. In quella lunga stagione di isolamento guardavamo alla città, ma, in verità, al nostro futuro, con apprensione ma soprattutto con speranza (“niente sarà più come prima”).

Questo articolo è riservato agli abbonati

Per continuare la lettura dell'articolo abbonati alla rivista
Se sei già abbonato effettua il login