Esce per i tipi di Spartaco, il nuovo lavoro di Andrea Malabaila, scrittore di romanzi e novelle, nato a Torino classe 1977, insegnante di scrittura creativa e fondatore della casa editrice Las Vegas

Il libro ha un titolo che seduce: “Lungomare nostalgia”. Immaginiamo una lunga passeggiata che si stende tra sole e mare, i racconti, le emozioni, la folla di voci e suoni. Si narra una storia semplice – proprio come una passeggiata – delicata ma al contempo intensa, struggente, come può essere la storia di un legame profond tra nonno e nipote, tra Natale, il protagonista e l’autore, voce narrante.

Pubblicato da Spartaco, “Lungomare nostalgia” è il nuovo lavoro di Andrea Malabaila, scrittore di romanzi e novelle, nato a Torino classe 1977, insegnante di scrittura creativa e fondatore della casa editrice Las Vegas, nata nel 2007.

Il racconto si snoda alternandosi tra presente e passato. Un presente doloroso che vede l’amato nonno, ormai più che novantenne, in fin di vita e Andrea che sta per perdere la storia, la sua storia, che voleva scrivere da anni. Comincia così una corsa contro il tempo per recuperare il passato, riannodare i fili di una vita di ricordi, vicende, aneddoti prima che scompaiano.
Una ricerca per ricostruire e conservare la storia di Natale Pennello, avventurosa e singolare agli occhi del nipote; per riappropriarsi della memoria e cercare gli spazi del cuore come il “lungomare” del titolo.
Un luogo familiare e amato sicuramente, chiediamo all’autore.
“Sì Il lungomare è quello di Finale ligure – risponde – dove passavo le estati con il nonno quando ero bambino. Anche se poi va detto che ognuno di noi, in fondo ha il suo lungomare nostalgia. Ci andavo da maggio a settembre, che era anche il momento in cui ci frequentavamo di più. Mio nonno era una persona impegnatissima ed era complicato incontrarci, ma nonostante questo, tra noi c’era un rapporto speciale come quelle amicizie intense che durano negli anni nonostante non ci si veda spesso. Come le amicizie del mare con cui ti ritrovi ogni volta che torni in vacanza, rapporti speciali che colleghi a quel momento. Rapporti in genere più sereni, che si sottraggono alla routine quotidiana che, in fondo, un po’ uccide.
La vita di Natale Pennello attraversa decenni della storia d’Italia: la nascita a Cuneo, nel 1924, la giovinezza e le bravate, l’incontro da adolescenti con Mariuccia sua futura moglie, l’addestramento per la guerra a Venezia, la fuga da disertore. Partito povero da Cuneo, approda a Torino diventa uno dei più grandi tipografi linotipisti alla Stamperia artistica Nazionale dove stampava Einaudi. E poi il boom economico con la macchina, la televisione, il frigorifero e la lavatrice, la vittoria a sorpresa della Lotteria, le vacanze a Finale Ligure. Un alternarsi di avventure, peripezie, storie nelle storie che tu hai riportato dopo un importante lavoro di documentazione.
“Fortunatamente alcuni avvenimenti me li ricordavo bene. Dopo la morte del nonno ho cominciato ad appuntarli subito perché avevo paura di perdere dei pezzi. –racconta – Quando però ho cominciato a scrivere, mi sono reso conto che una cosa era raccontare le storie a voce, una cosa è scriverle perché sono necessari tanti dettagli che diano autenticità alla narrazione. Molte cose sfuggono. Certo, se fosse stato vivo mio nonno, sarebbe bastato un attimo, mi avrebbe risposto immediatamente. E’ probabile che alcune cose potesse non ricordarle, ma comunque sarebbe stato tutto più semplice. Invece molti avvenimenti li ho dovuti ricostruire. Per esempio, nella primo capitolo che si apre con il ricordo di una scena di gelosia con Mariuccia, la canzone di Natalino Otto che lui ascolta e che mi raccontava, “Solo me ne vo per la città”, ce l’aveva in testa? la sentiva alla radio o dai grammofoni? C’era un’orchestrina che suonava? Non ho mai pensato di chiederglielo. E molti dettagli sfuggono anche e soprattutto se non riesci a ricostruire il periodo storico. In parte è stato facile scrivere questa storia, perché era vita familiare vissuta. Non dovevo inventare nulla. Ma paradossalmente è stato ancora più complicato perché era la prima volta che raccontavo un periodo storico che non avevo vissuto direttamente e di cui non sapevo nulla. Non è stato facile documentarmi, soprattutto sotto la pandemia. Molte notizie le ho potute recuperare su internet, ma tutto il resto della documentazione che mi serviva era inaccessibile.
Per esempio, per raccontare la storia del biglietto della lotteria vincente abbinato ai brani di Canzonissima, sentivo che non mi bastavano i racconti di mia madre che all’epoca era un ragazzina. Avevo bisogno di capire come funzionavano il concorso e gli abbinamenti. Su internet c’erano pochissimi dati e allora ho chiamato la Rai per visionare la puntata. Mi risposero che era possibile ma sotto la pandemia non potevo entrare . Mi hanno richiamato e sono stati gentilissimi. Ma nel frattempo erano passati due anni
Il libro è ricco di tenerezza, affetto, delicatezza e intensità che si sciolgono tra flashback, istantanee, ritratti. Allegria e dolore si mescolano senza accavallarsi, in modo piano, senza strappi. Tutto un mondo in cui compaiono all’improvviso, in fuggevoli citazioni, la casa dove viveva Mario Soldati , Cesare Pavese che striglia il nonno per un errore. Addirittura i partigiani Ninì Rosso e Giorgio Bocca in un momento piuttosto drammatico. Tutto punteggiato dai titoli di canzoni, come quella di Natalino Otto, che ricostruiscono abilmente gli anni che passano. Pensavi di perderti i ricordi e invece hai reso la storia di una vita di affetti e di ammirazione tesa e coerente.
Adesso sì. Ma la scrittura del libro è stata molto travagliata. All’inizio vivevo momenti di angoscia non solo per la perdita di mio nonno ma perché avevo paura di perdere tutto ciò che era fondamentale per farlo rivivere e raccontare la sua storia. Ero ossessionato dalla precisione e dal riportare anche nei minimi dettagli la sua vita. Poi, a un certo punto, sono venuto a patti con la storia. Nessuno sarebbe mai andato a verificare se mia nonna, per esempio, quel giorno aveva indossato un vestito di un colore diverso. I dettagli non erano indispensabili. A me interessava avvicinarmi il più possibile alla realtà dei fatti con cura e con passione. La primissima cosa che ho scritto la sera prima del funerale, a caldo, è stata una lettera che poi è nel libro. All’inizio ero bloccato, per noi torinesi esprimere i sentimenti, qualcosa di troppo personale, non è una cosa facile. Anche il nonno non esprimeva apertamente ciò che provava. Non dava molte soddisfazioni. Poi qualcosa si è sbloccato, mi sono detto che potevo farcela. Ho trovato anche una scatola con dentro foto di ogni genere di mio nonno, tutte catalogate, che mi hanno permesso di ricostruire, dopo la sua morte, una arte della sua vita di cui sapevo molto poco. Ed è stato un momento molto bello e profondo.
Una scatola di ricordi, di vissuti tra nostalgia e tenerezza, momenti di “vita imperfetta” come dice Andrea Malabaila, perché l’imperfezione “lascia sempre qualcosa da aggiungere continuamente ad una vita che in fondo perfetta non è perché a momenti di grande felicità si possono alternare momenti dolorosi e di sconforto in cui qualcosa si rompe, come è successo a mio nonno quando la nonna si è ammalata di Alzheimer.”
E allora, alla fine, anche Natale Pennello, il nonno Superman agli occhi di un bambino, divertente inventore di barzellette, lascia il posto a tutta la sua umana fragilità.

 

Foto: Finale Ligure di MovidaPhilosopher – Opera propria