Il governo delle destre non alimenta solo oppressione sociale, conformismo disciplinare sui valori, patriarcato, bellicismo iperatlantista. Il fondamento ideologico della sua identità è l’abbattimento della Costituzione repubblicana antifascista. Le forze democratiche stanno sottovalutando tale aspetto anche perché incerte e divise sulla reale difesa ed attuazione della Costituzione. La proposta populista/nazionalista sulla quale la presidente del Consiglio Meloni e la ministra Casellati stanno tentando di stringere i tempi è il cosiddetto “premierato”. Riteniamo, come Left, che sia una forma di irrigidimento verticale, plebiscitario, autoritario della forma/Stato. La bozza di riforma del governo prevede un presidente del consiglio eletto direttamente dai cittadini, con una soglia minima del quaranta per cento (potrebbe anche sciogliere le Camere e revocare i ministri. La prima, ovvia, considerazione, che Giorgia Meloni ipocritamente nega, è che viene fortemente indebolita la figura del presidente della Repubblica, prevista, non a caso, dalla Costituzione come massimo ruolo di garanzia. Il presidente della Repubblica ha poteri decisivi nella nomina del presidente del Consiglio e nello scioglimento delle Camere. Con la “riforma Meloni” la sua figura diverrebbe evanescente, simbolica.
Meloni sta proponendo uno schema inedito, che ha un solo precedente , fallimentare, il governo Rabin in Israele. Non funzionò. È, poi, una pericolosa convinzione che l’attuale presidente del Consiglio vuole imporre attraverso il suo vastissimo armamentario propagandistico che il Paese avrebbe bisogno di un governo più forte e stabile. Il governo, attualmente, in Italia, nella materialità dei processi decisionali quotidiani, è fin troppo forte e pervasivo. L’esecutivo ha annesso a se stesso quasi completamente il procedimento decisionale legislativo. Michele Ainis ci ha ricordato, qualche giorno fa, in un’intervista, per ricordare il diritto comparato, che lo stesso presidente Usa Joe Biden non può emanare decreti legge e non può sciogliere il Congresso. In effetti, il”premierato” non è una riforma circoscritta che tende “solo” ad esaltare una presunta sovranità popolare attraverso il meccanismo dell’elezione diretta. Bisogna ragionare, demistificare. La sovranità popolare prevista dall’articolo 3 (secondo comma) della Costituzione è, infatti, al contrario rispetto allo schema meloniano, partecipazione diretta quotidiana delle cittadine e dei cittadini alla vita politica, economica, sociale della Repubblica. Sovranità popolare non significa dare un voto di delega una volta ogni cinque anni allontanando, anzi, da sé l’agire diretto per il miglioramento della propria condizione sociale, culturale, di dignità, di costruzione della trama della convivenza collettiva. La sovranità popolare costituzionale è pluralismo, ricucitura delle differenze. Esige un sistema elettorale proporzionale, una riconquistata centralità del Parlamento (organo che è specchio del pluralismo), la valorizzazione dei corpi intermedi. Tutto ciò che, in due decenni di attentati politici alla Costituzione, è venuto meno. Il voto diretto per scegliere il presidente del Consiglio è indebolimento del conflitto sociale , passivizzazione della partecipazione. Rende evanescente il dissenso, lo emargina. È il contrario della filosofia di costruzione di un popolo partecipe che ha animato l’alto dibattito dell’assemblea Costituente e che ha orientato verso una democrazia orizzontale, costituzionale. La legalità costituzionale è limitazione del potere assoluto, è garanzia dei diritti. L’elezione diretta del presidente del Consiglio è, invece, concentrazione del potere. È pura propaganda dire che la proposta verte sulle esigenze di “stabilità e governabilità”. La situazione istituzionale è fin troppo stabile. Gramsci avrebbe parlato di “rivoluzione passiva”, di fronte al dogma neoliberista. La situazione sarebbe ancora più preoccupante se venisse approvata la cosiddetta “autonomia differenziata”: non solo la secessione delle aree più ricche del paese ma anche l’istituzionalizzazione delle disuguaglianze. È, in definitiva, in questa controriforma la discriminante tra democrazia costituzionale e democrazia plebiscitaria (il simulacro di una falsa sovranità). Tenteremo, anche questa volta, di essere partigiani della Costituzione.