Il fenomeno della dispersione scolastica ha molte origini - sociali, economiche, familiari, culturali. I dati dimostrano che è un’emergenza, ma le soluzioni sono sempre parziali. Come gli interventi del Pnrr, calati dall’alto e senza rispondere ai bisogni reali dei territori e degli studenti
Dispersione scolastica significa dispersione sociale. Il quadro è ormai chiaro, dopo decenni in cui in Italia il tasso di abbandoni scolastici, nonostante leggere flessioni nel tempo, è rimasto costantemente alto, collocando il nostro Paese tra i primi in Europa. Ed è altrettanto evidente che il sistema scolastico, da solo, non può arginare questo fenomeno. Si tratta di un’emergenza sociale complessa le cui cause sono molteplici, tra cui: gravi condizioni economiche delle famiglie, povertà educativa, contesti territoriali disgregati, assenza di servizi per la prima infanzia. Una situazione ben nota da anni ma, a quanto pare, visti i dati negativi che persistono, le soluzioni si sono rivelate sempre insufficienti. E tali appaiono anche gli interventi previsti nel Pnrr. La dispersione scolastica è la punta di un iceberg, il campanello d’allarme sulle condizioni di vita di un’Italia povera, economicamente e culturalmente, ma soprattutto senza sbocchi per il futuro. Perché poter studiare, anche in questi anni tormentati da crisi, pandemia e guerra, rappresenta una speranza di cambiamento. Individuale e collettivo. Viceversa, rinunciare alla scuola significa incontrare maggiori rischi di disoccupazione o lavoro in nero e minorile, povertà, esclusione, e anche, purtroppo, possibilità di devianza.

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