Per adeguare la scuola italiana alle richieste della Comunità europea e per accompagnarla, dicono, nella modernità, si decide un cambio di paradigma. Si sceglie di investire esclusivamente sugli strumenti tecnologici, svuotando di senso i contenuti culturali e rinunciando così all’obiettivo pedagogico
Da una parte i docenti e dall’altra i funzionari ministeriali e i pedagogisti. Nel mezzo, l’orientamento sempre più digitale del ministero. Non si era mai arrivati a una distanza tanto ampia tra la visione della scuola più diffusa nel corpo insegnante e le concezioni didattiche dell’apparato burocratico-pedagogico che definisce le linee di indirizzo del sistema di istruzione. Leggendo i documenti ministeriali in tema di didattica e partecipando ai corsi di aggiornamento proposti dall’apparato burocratico-pedagogico, si avverte un’ostile estraneità, come se si fosse smarrito il senso del lavoro del docente. Come si è arrivati a questi livelli di incomprensione tanto alti? Sicuramente attraverso decenni di comunicazione a senso unico: in convegni e incontri pubblici, per esempio, le rare occasioni di compresenza - e quindi di possibilità di dialogo - di funzionari dell’apparato e di docenti di scuola si sono dissolte in un nulla di fatto, con i rappresentanti dell’apparato intenti a dispiegare le magnifiche sorti e progressive dell’innovazione didattica e i docenti di scuola costretti a un ascolto passivo, prima della sparizione (letterale), per improrogabili impegni istituzionali, dell’imbonitore di turno.

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